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Franklin Delano, scorribande in bilico tra canzone e rarefazioni

  • 12 febbraio 2006

La scena post-rock italiana è in pieno fermento. Molti gruppi si limitano però soltanto a reiterarlo e renderlo un mero esercizio di stile, i Franklin Delano, invece, sono riusciti a trovare una propria via all’interno di questa nicchia. Già quest’estate fra le formazioni di punta del programma musicale di Kals’Art, saranno proprio loro, giovedì 16 febbraio alle 22.30 presso "I Candelai" di Palermo (via dei Candelai 65), i protagonisti del prossimo appuntamento di IndieXplosion, la rassegna di suoni e culture indipendenti (ingresso 5 euro). I bolognesi Franklin Delano nascono nel 2002, quando Paolo Iocca (voce e chitarre) incontra Marcella Riccardi (voce, chitarre e mandolino), già tra le fila dei Massimo Volume. Subito dopo Vittoria Burattini (batteria e percussioni), anch’essa reduce dall’esperienza nei Massimo Volume, si unisce al gruppo apportando la sua esperienza alla struttura ritmica delle canzoni, mentre il quarto membro del gruppo, Stefano Pilia (contrabbasso, basso e piano), aggiunge sofisticate armonie classiche unite ad elementi sperimentali. Dopo l’incoraggiante esordio discografico nel 2004 con "All my senses are sensless now", l’anno scorso tornano in sala prove per incidere "Like a smoking gun in front of me", un album che si preannuncia importante già dai crediti: mixato a Chicago da Brian Deck negli studi della Perishable Records dei Califone e ulteriormente impreziosito dlla presenza degli stessi come guest di eccezione. Iocca e soci riescono ad unire il country blues di matrice americana al pop, lo bruciano coi rumori, lo scarnano fino a renderlo larvale e poi lo ricostruiscono, improvvisando.
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Un suono fatto di chitarre frastagliate, di ritmi che divengono da letargici a taglienti e di riverberi densi di oscurità, su cui aleggia un’elettricità statica che sembra preludere allo scatenarsi di una tempesta. Si passa dall’avvio intenso e ombroso di "Call it a day", alle melodie squisitamente pop di "Please Remember Me" (tra i Pavement e i Wilco) e "We Don’t Care", alle sospensioni di "Sounds Like Rain" che simulano un senso di paralisi che sembra imprigionare ogni cosa attraverso il riflesso di un vetro o una rabbia soffocata che pare sempre sul punto di esplodere. Dallo scorrere torbido di "Matter Of Time" alle lame lancinanti e ai rarefatti silenzi di "Your Perfect Skin Line": è proprio quando il gruppo bolognese non esita a lasciar scivolare la propria musica tra le braccia di un’inquieta forma-canzone che rivelano tutto il fascino della loro alchimia, svincolandosi dai fantasmi "post" e creando uno spazio rumoroso e minimale tra il silenzio e l’esplosione. Lo stesso Iocca in "Me and my dreams" sussurra: "There’s still much to drive/ There’s still a billion miles to bite (...)/ There’s still a whole long night aside". Ma il percorso di questa strada è roseo e ben visibile.

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