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Fratella e sorello, un mondo alla carbonara

  • 11 luglio 2005

Fratella e sorello
Italia 2002/2005
Di Sergio Citti
Con Claudio Amendola, Rolando Rovello, Ida Di Benedetto, Youma Daikita, Laura Betti

Disincanto ed ironia sono le caratteristiche del cinema di Sergio Citti, poeta della macchina da presa capace di regalare piccoli gioielli al suo pubblico, fin dagli anni ’70. Ed è un cinema, quello di Citti, che non ha ancora perso la vitalità di un tempo. La sua dote più importante è la sincerità, e non solo perché, attraverso le sue immagini, leggiamo in trasparenza l’ombra indelebile del suo maestro Pasolini. Il nostro è stato, infatti, il collaboratore privilegiato del grande poeta, una delle sue icone, in certi casi addirittura l’ispiratore di quelle storie di borgata, scenario ideale di trame evocative e di un linguaggio che si è trasformato in metafora della grazia, di cui spesso, è impregnata la miseria. Citti ci ha saputo raccontare la fame attraverso il gruppo di protagonisti di quell’originale gioiello di umorismo che rimane “Il minestrone” (realizzato anche in tre puntate per la televisione), guidati da un impareggiabile Roberto Benigni, film anarchico e apocalittico che ci riporta ad umori e atmosfere delle storie raccontate, oggi, da Ciprì & Maresco. Storie d’amicizia e di povertà, raccontate fin dal primo, indimenticabile esordio, “Ostia” (la stessa spiaggia che ritornerà nel crudele “Casotto”, con una esordiente Jodie Foster) e poi nel poetico “Due pezzi di pane”. Ricordiamo pure che, a metà degli anni ’90, Citti ci ha regalato “I magi randagi”, film di straordinaria leggerezza che si lascia amare moltissimo, proprio come questa ultima fatica, girata ben tre anni fa, e intitolata in modo stravagante, “Fratella e sorello”.
Anche invertendo le vocali il sentimento d’amicizia familiare rimane il più antico e il più vero, e quando lo si tradisce la sua fine è peggiore di quella di una qualsiasi storia d’amore. Reduce da una lunga e brutta malattia che lo ha lasciato su una sedia a rotelle e quasi sordo, il 23 maggio Citti ha compiuto 73 anni, ma la sua vitalità lo ha fatto andare avanti, fino a concludere il suo film finalmente arrivato nelle sale, seppure in un periodo di calura estiva. Non ci resta che accoglierlo con sincero affetto, perché in “Fratella e sorello” sono esposti tutti i simboli del suo cinema, compresi quelli alimentari, come la pasta alla carbonara, feticcio della romanità, con cui si apre questo film. Tutto comincia nella cella di una prigione, dove a far compagnia ad un gruppo di detenuti, arriva il timido Giacomo (Rolando Ravello, qui nella prova migliore della sua carriera). In questo luogo c’è ancora chi si ostina a sorridere alla vita (tra i detenuti c’è Andy Luotto), come il personaggio del Serpente (un volutamente patetico e bravo Claudio Amendola), uno spogliarellista che per tanti anni ha viaggiato sulle navi da crociera, chiamato così perché è il tatuaggio di un rettile a coprirgli il corpo. E’ finito in carcere dopo il tradimento di un amico e lui si consola cucinando una formidabile pasta alla carbonara, per allietare i suoi compari detenuti. Giacomo è invece uno che vive di rendita, follemente innamorato della moglie che lo ha portato a finire in prigione. Tra Giacomo e il Serpente nasce un originale e sincero rapporto d’amicizia. E quando lo spogliarellista esce di prigione, il neo- amico gli consegna le chiavi di casa.

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Arriva il momento della liberazione di Giacomo e i due ex- galeotti si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto. Il loro reinserimento nella società sembra impossibile, la loro emarginazione definitiva. I due proprio non riescono ad accettare l’ipocrisia del mondo, nel loro caso rappresentato dall’universo femminile. Così entrano in scena prima la Cicera (Ida Di Benedetto), la donna del Serpente, che gestisce il locale dove si pratica lo spogliarello, rosa da un’accecante gelosia e pronta a qualsiasi infamia per non perdere il suo uomo, compresa quella di armarsi di rasoio buono ad evirare. E poi c’è la moglie di Giacomo, una bellissima donna di colore, Nonò (Youma Daikita), però ipocrita e bugiarda al punto da rompere quell’iniziale armonia casalinga. La situazione precipita e i due uomini finiscono davanti ad un giudice che è la brava, compianta Laura Betti, figura senza tempo di un cinema e di una cultura che non c’è più. “Fratella e sorello” comincia con un processo finto (inscenato dai detenuti) e finisce con un processo vero, con una condanna che per i due protagonisti risulta una vera e propria liberazione (lo stesso assunto di “Dov’è la libertà”, vecchio film di Rossellini con Totò). Il mondo della società incivile è da respingere: meglio il mondo racchiuso in una cella, l’alveo tranquillo di una bella, virile amicizia coronata da una scorpacciata di carbonara, emblema della gioia di vivere. Che sia questa minimalistica morale, il beffardo testamento spirituale – spiritoso di Citti?

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