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Il Caimano e la tragedia di un Paese ridicolo

  • 27 marzo 2006

IL CAIMANO
Italia, 2006
Di: Nanni Moretti
Con: Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Michele Placido, Giuliano Montaldo, Elio De Capitani, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Tatti Sanguineti, Paolo Virzì, Paolo Sorrentino, Carlo Mazzacurati

A uno come Moretti basta poco. Basta allargare l’orizzonte del suo cinema di metamorfosi ed ecco entrare in campo una elaborazione del lutto che non riguarda più un nucleo familiare (come nel memorabile “La stanza del figlio”) ma un intero Paese, il nostro Belpaese. E’ un film su una crisi collettiva, “Il caimano”, una crisi culturale che si è trasformata in una crisi del vivere civile, a partire dall’avvento di forme di potere sottili e devastanti in grado di sconfiggere le coscienze, d’incidere profondamente sui valori privati e pubblici. Con un coraggio intellettuale, che Pasolini - se fosse ancora tra noi - ammirerebbe, Nanni Moretti racconta l’Italia qui e ora, e lo fa con una ironia tagliente (e spesso annichilente) in quest’ultimo suo film dove si ride abbastanza ma a mascelle strette. Questo “Caimano” è pervaso da una malinconia cupa e struggente, da una incontenibile tentazione di fare a pezzi le certezze accumulate, i luoghi comuni imperanti, i modelli ideologici ed estetici dominanti. Il Nanni nazionale prova a dire qualcosa veramente di sinistra, naturalmente prendendosela con la sinistra e i suoi feticci autoreferenziali, più che con il Berlusca, oggetto di ludibrio collettivo. Ma il suo è soprattutto un film sulla nostalgia del cinema: quello nascosto e purissimo della serie Z e quello che non si può più fare, quello civile dei Rosi e dei Petri, destinato ad un paese diverso, non ancora inquinato dalle conseguenze della catastrofe mediatica che ha mutato radicalmente il modo di sentire e, quindi, di raccontare la realtà.

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Un film su Berlusconi poteva essere una rilettura aggiornata de “La mani sulla città”, dove la mafia in combutta con la politica è in grado di corrompere e devastare un territorio sociale. Poteva essere, ma non lo è. Moretti prova a rispecchiarsi nel suo personaggio di Bruno Bonomo (interpretato da uno straordinario Silvio Orlando, uno degli attori migliori del nostro cinema), produttore in crisi e pieno di debiti che negli anni settanta ha prodotto dimenticabili “Z – movies”, “Maciste contro Freud” o “Cataratte” (“Il caimano” si apre con le immagini di quest’ultimo) e che da dieci anni non produce più. Finalmente, al nostro uomo ridicolo capita la possibilità di realizzare un film su Cristoforo Colombo commissionato dalla Rai. La moglie Paola (una splendida Margherita Buy) un tempo protagonista dei suoi film, s’intestardisce a trasformare in divorzio un mènage già in crisi e Bruno è costretto a fare i conti col suo bisogno d'amore, elargito soprattutto ai due figli. Intanto nella sua vita irrompe Teresa (un’intensa Jasmine Trinca), giovane regista che vorrebbe realizzare un film dal titolo “Il caimano” che racconta nemmeno tanto metaforicamente l’ascesa e la caduta di Berlusconi imprenditore e politico. Sfumata l’occasione di “Colombo” Bruno decide di rimettersi in gioco e, anche senza soldi, decide di mandare avanti il difficile progetto dell’inesperta regista. Il film di Moretti parte da questo spunto componendo un mosaico di pellicole sognate, da fare e già fatte nell’ipotesi di un film possibile, inaugurato dal simpatico delirio di un critico trashista, Peppe Savonese a cui presta volto un impagabile Tatti Sanguineti. Dunque, c’è il sogno di Bruno che immagina un je accuse sul nostro Presidente del Consiglio (tra le sequenze, quella metafisica di una valigia piena di denaro che letteralmente cade dal cielo), e sulla sua scalata ai vertici del potere imprenditoriale e istituzionale. Ad interpretare il Berlusca immaginario è una specie di sosia, il regista teatrale Elio De Capitani. Quando poi, dopo una serie di vicissitudini, dopo le prove sul set del film in cantiere dove il Silvio nazionale ha le fattezze di Michele Placido (che interpreta il ruolo di un ex- divo del cinema d’autore trasformatosi in un attempato mattatore delle fiction tv), ecco irrompere la sorpresa finale di un terzo Cavaliere nel film che finalmente (forse) si farà.

L’impresa morettiana procede ad incastri, con un sorprendente ritmo sincopato, regalandoci scene ora surreali e ora realistiche (quella del set televisivo in riva al mare dove si gira “Colombo” ricorda i colori di “Paesaggio nella nebbia” di Anghelopulos, mentre quella della gelateria dove Bruno sfoga la propria mania di persecuzione è pura autocitazione che rimanda al primo Moretti “autarchico” arrabbiato). Ma “Il caimano”, pur essendo un film sul cinema non ammicca al gusto dei cinefili e lo sguardo morettiano si concentra di più sui suoi bravissimi interpreti, tra i quali alcuni non attori che ci regalano camei memorabili (basti citare il grande Giuliano Montaldo e il suo efficace ritratto di regista in disarmo, insieme alle altre partecipazioni di registi come Carlo Mazzacurati e Paolo Virzì). Nel ruolo di un produttore polacco ferocemente anti – italiano troviamo persino un magnifico Jerzy Stuhr. Insomma, divertendosi a depistare, Moretti compone un film su come sia impossibile fare un film che racconti il nostro disastrato paese di oggi. Evoca il trash come nostalgia inutile, si scaglia contro il politicamente corretto che impera nelle cose private come in quelle pubbliche (il nostro Nanni, si sa, non ama le famiglie alternative e dunque fa ironia sulla coppia gay al femminile di Jasmine Trinca e compagna), mostra i denti esponendo le debolezze colpevoli di una sinistra che ha troppo stentato ad opporsi allo sfascio di un paese invaso dal tornado berlusconiano.

A chi si aspettava un manifesto ideologico del girotondinismo, l’autore più originale del nostro cinema regala una sconcertante galleria di mostri, alcuni però dal volto umano, l’immagine deformata (come in uno di quegli specchi delle fiere) di una poco allegra nostra comune condizione. Lo fa con ispirata malizia, con il consueto gusto del paradosso in un film esemplarmente “diverso”, sorretto da una efficace sceneggiatura scritta da lui insieme a Francesco Piccolo e Federica Pontremoli e dalla musica di Franco Piersanti che funzione da commento all’angosciosa nevrosi di Bruno. Moretti stesso appare nel “Caimano” solo due volte: una volta nel ruolo di se stesso, cantando in auto un motivo retrò di Salvatore Adamo, e un’altra nel ruolo del titolo, in un film immaginario che offre al suo un finale sorprendente e amarissimo. Il grottesco che avanza ottusamente e potentemente ha forse definitivamente avvelenato le coscienze, e non solo quelle dei berlusconiani. E’ giusto che qualcuno ci abbia avvertito: non basteranno le elezioni a salvare la nostra povera Italia.

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