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Il Carnevale alternativo dei Vanishing

  • 31 gennaio 2005

Brian Hook e Jesse Heva, alias The Vanishing, musica decadente contornata da elctro-dub, saranno in concerto ai Candelai di Palermo (via Candelai 65), martedì 8 febbraio alle 22 (ingresso 5 euro, 3 per i soci Candelai), per quello che si preannuncia l'unico Carnevale alternativo in città firmato Balarm, che ne ha curato l'organizzazione e la produzione.

Prodotto musicale sviluppato a San Francisco ma così attratto dalla sirena berlinese da decidere di fare i bagagli e trasferirsi nella capitale più “underground” del vecchio continente: una vocazione geografica che ha cambiato e parecchio le sorti del gruppo. Formatosi nel 2000, la line-up iniziale prevedeva Brian, Jesse e la tastierista Sadie Shaw: bizzarrissimo trio che non rifiutava continui strizzamenti d’occhi sonori ai tormenti decadenti “wave-dark”, molto in voga negli anni ottanta dei Sister of Mercy o di quei primi, autorevoli, splendidi album dei Suicide. Prima dell’attracco germanico una sostituzione in corsa: Sadie Shaw lascerà il posto a Billy Bates alle tastiere; ma la nuova esperienza berlinese li vedrà privi dello stesso, il quale resterà tra i sali e scendi di San Francisco. E qui l’ex trio, ormai duo, dei Vanishing cambierà inaspettatamente pelle, pur non rinnegando il “dark” del primo long-playng (Songs for Psychotic Children).
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Jesse Heva, nel frattempo, ispirata dai trucchi “alla Nina Hagen” e dai vocalizzi impertinenti alla Cindy Lauper, deciderà di poggiare il basso per prendere il sax; vera novità aggiunta che spezza e non poco certe atmosfere ombreggianti per aprire nuovi orizzonti a sperimentazioni a trecentosessanta gradi. Sperimentazioni che interesseranno anche l’area “dub” e di conseguenza una certa musica elettronica: il risultato, in un certo senso c’è, ed è nell’insieme che occupa l’ultima fatica discografica, “Still lifes are falling”, concepito tra l’ennesimo split e un “all together now” di compilation musicali “abbastanza alternative”. L’album trova rifugio in quel tappeto riverberato di suoni mischiati, di quel sax sgozzato e in quella “fastidiosamente bella” voce che sbraita. Un disco che può riportare in certi contesti ai Siouxsie and the Banshees (e non solo nel make-up) e che, come tutte le manifestazioni sonore “esagerate”, ticchettìa nervosamente nei camerini per esplodere, in atteggiamenti “sci-fi horror disco”, sul palco.

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