Il Codice Provenzano
Un libro di fatti e perchè che attraversa tutti i pizzini dell’ultimo padrino
Pubblicato da Laterza e scritto da Salvo Palazzolo, giornalista, e Michele Prestipino, magistrato, “Il Codice Provenzano” (pagg. 332 - euro 15,00) è un libro di fatti, che ragiona sui fatti, ma che s’apre a numerosi perché. Anni passati al setaccio, dalle stragi all’inabissamento di Cosa Nostra, con un’appendice per districarsi tra i personaggi, che portarono anche al blitz dei poliziotti del gruppo «Duomo» a Provenzano e alla fine di 43 anni di latitanza. Un boss in piena attività al capolinea, ma che a tutt’oggi ha con sé l’autorità del padrino nel suo Codice criptato; forse anche in quella “Bibbia” più volte richiesta. La mafia è potenza dei segreti, più che gerarchia militare, di cui il capo indiscusso è l’unico conoscitore. Riformata, con un gruppo di fedelissimi, a partire da un casolare di Mezzojuso, tra Agrigento e Palermo, la Cosa Nostra dell’era Provenzano, con l’arresto di Totò Reina (1993), pone fine alla stagione di sangue e s’inabissa (c.d. “sommersione”). Provenzano è un attento osservatore delle complesse dinamiche che intrecciano il lecito e l’illecito e Binu u tratturi, accantonato l’impeto giovanile impone i tempi del mediatore sociale, con uno stile comunicativo dello “scrivi come parli”, allusivo, simbolico, criptatato e (devotamente?) religioso: i pizzini, fogli trascritti a macchina, sigillati con nastro adesivo, visibile solo per numero, fino a 164.
Il sistema relazionale, tra le righe, rivela un paterno sovrano illuminato, un servitore (a suo dire) anche quando la decisione è presa, che centellina saggezza con vocaboli come: calma, rettitudine, correttezza, coerenza, tanto da suggerire, in una missiva, il sistema delle tre prove per formarsi una verità. L’intangibilità dello Stato è il “virtuosismo provenzaniano” per far recuperare la condizione destabilizzata, cioè la tranquillità sufficiente a sviluppare affari e complicità; tra imprenditoria, politica e massoni. Dopo la stagione delle stragi la riforma riesuma il vecchio Statuto (scritto!) di Cosa Nostra, che aveva dato a Provenzano aggio di comprendere quanto fosse, per un mafioso, necessario scrivere, ma al contempo amministrare con saggezza le parole consacrate sul foglio, per poi nasconderle e svelarle nel momento opportuno e prima che si trasformassero in condanna a morte. Tenendo a mente questo il “pizzino” è un sistema di comunicazione «arcaico ma sicuro, che però non è l’unico», come dice Prestipino, che ricorda come Messina Denaro – boss trapanese latitante – rivolto al padrino «indicava “l’altra via”, ovvero un altro pizzino ancora rispetto a quello della risposta ordinaria, per l’indicazione del nome del politico desiderato. Come se esistesse un livello di trasmissione dei messaggi con un codice di sicurezza, più elevato. E con postini ancora più riservati». Nell’altra via i pizzini indecifrati? La pista su nuovi patrimoni occulti? La risposta ai delitti eccellenti? E per un piacere fatto a chi?
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