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“Kung Fusion”: come gli adattatori italiani rovinano un film

  • 31 maggio 2005

Kung Fusion (Kung Fu Hustle)
Hong Kong / Cina 2004
Di Stephen Chow
Con Stephen Chow, Chi Chung Lam, Kwok Kuen Chan, Dong Zhi Hua, Yuen Qiu

Questa volta il mio invito è di NON andare a vedere un film orientale al cinema. Non perché sia brutto, anzi: “Kung Fu Hustle” – tradotto in italiano con lo spassosissimo (???) gioco di parole “Kung Fusion” – è un capolavoro nel suo genere, un fuoco d’artificio che unisce comicità demenziale a incredibili combattimenti d’arti marziali (coreografati dal grande maestro Yuen Wo-ping), come argomentano anche i numerosi premi vinti al più importante festival asiatico, il “24th Hong Kong Film Awards” (miglior film, attore non protagonista, effetti speciali, montaggio, coreografia ed effetti sonori). D’altronde stiamo parlando di Stephen Chow: il maggior comico cinese, ormai conosciuto in tutto il mondo, sicura garanzia di risate. Il problema è che in Italia non potrete vedere “Kung Fu Hustle”: nei nostri cinema può capitare al massimo di imbattersi in “Kung Fusion”, che è tutto un altro film. Cosa è successo? Semplice: a “Kung Fu Hustle” è toccato lo stesso trattamento riservato anche alla precedente opera di Chow, “Shaolin Soccer”, uscito con le voci dei più famosi calciatori italiani (che avevano come trascurabile difetto il fatto di non saper recitare). Questa volta, sebbene al doppiaggio vi siano attori veri alternati a comici, non è andata granché meglio. Evidentemente la Sony Pictures Releasing Italia ritiene che per rendere appetibile lo stile di Chow al nostro pubblico, bisogna completamente stravolgerlo, cancellarlo e sostituirlo di sana pianta con battute insulse, gratuite e volgari.

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Il pubblico ha il diritto di sapere che molto di quello che sentirà non proviene dallo script originale, bensì dalle brillanti menti degli adattatori (perle del tipo: “che mestiere fa?” “o mestiere ‘e soreta!” oppure “kara - the” quando viene offerta la bevanda ai due guerrieri ciechi). Per completare l’opera sono stati aggiunti ridicoli dialetti regionali e pronunce “alla cinese” (cioè con la “l” al posto della “r”, cosa che personalmente giudico ai limiti del razzismo, visto che i film francesi di norma non sono doppiati con la “r” moscia). E spiace ancor di più perché, oltre alle parodie (numerosissime, anche di film occidentali come “Gangs of New York” e “Matrix”), alle scene d’azione visionarie e iperviolente, all’inventiva delle gag surreali, all’uso fantasioso e creativo della computer graphic, “Kung Fu Hustle” nasconde un cuore tenero e poetico, fatto di leccalecca, farfalle che sbocciano da crisalidi e di manualetti d’arti marziali per bambini, che stenterà a farsi largo tra le barriere dell’adattamento. Forse che gli occidentali non potevano comprendere lo spirito così particolare di Stephen Chow? In Usa il film è uscito solo con i sottotitoli e, fatte le debite proporzioni col numero di sale, ha superato in incassi “Sahara” arrivando al quinto posto della top ten. Cosa fare quindi? Semplicemente boicottare e aggirare i tradizionali canali distributivi. Anziché andare al cinema, comprate il dvd che è già disponibile nei negozi on-line esteri (alla modica cifra di 15 euro, ma con i soli sottotitoli in inglese). Sperando che serva da lezione a chi si ostina a violare l’integrità delle opere artistiche.

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