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L'Aladino di Cuticchio all'Auditorium della Rai

  • 17 aprile 2007

Il fascino di una storia da mille e una notte e la magia di un’arte antica e sempre viva sono il segreto di una favola che porta con sé un messaggio profondo e carico di significato. La storia è quella di Aladino e il genio della lampada. L’arte attraverso la quale è narrata è quella dei pupi. Un binomio insolito che unisce la tradizione del mondo occidentale e orientale e indossa i panni del mondo contemporaneo per raccontare una fiaba delicata dove i protagonisti siamo noi, figli di un’era in cui, oggi più di ieri, domina l’individualismo e l’assenza di umanità. Questo ed altro è “Aladino di tutti i colori”, il nuovo spettacolo di Mimmo Cuticchio, prodotto dall’Associazione Figli d'Arte Cuticchio che debutterà giovedì 26 aprile alle 18.30 nell’Auditorium della sede Rai di Palermo (viale Strasburgo) con replica da venerdì 27 a domenica 29 aprile sempre alle 18.30. La favola è rivolta ai bambini e a tutti gli adulti che, in fondo, hanno vivo dentro di sé lo spirito delicato dell’infanzia. Aladino, infatti, è un giovane che ha bisogno di essere guidato dal genio per non cadere e restare in piedi davanti alle difficoltà. Quante volte, nella vita, ci fermiamo davanti ad un ostacolo? Quante volte avvertiamo il bisogno di essere guidati, di avere qualcuno che ci indica la strada e ci aiuta a superare l’ennesima salita? E’ nell’immaginario di tutti, adulti e bambini, la magica lampada dentro la quale si cela il genio pronto a risolvere ed esaudire ogni desiderio. Ma è un mondo freddo quello in cui viviamo dove individualismo e competitività sembrano i nuovi imperativi di un tempo che ci vuole sempre più veloci e freddi. Ed ecco, allora, che accanto all’ingenuo e delicato pubblico di bambini trovano posto anche gli adulti ai quali è chiesto di fermarsi per un istante a riflettere su quelli che sono i valori che sembrano ormai dimenticati, tra tutti quello della fratellanza, e capire che non è vero che bisogna adeguarsi all’asprezza del mondo.

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«Il mio Aladino è una figura simbolica – spiega Mimmo Cuticchio - che unisce i bambini di tutte le razze e di tutti i colori. Senza la lampada magica e senza l'aiuto di qualcuno "più grande di lui", il protagonista non avrebbe futuro. Aladino siamo tutti noi, adulti e bambini, ricchi e poveri, italiani e stranieri. Il Genio, invece, è uno spirito positivo che conosce i segreti reconditi, ignorati dalla gente comune. Le sue interferenze e le sue apparizioni aiutano Aladino a superare ogni peripezia. Tutti i bambini del mondo – continua Cuticchio - hanno diritto al loro Aladino, ma, per come oggi va il mondo, non è detto che anche noi adulti non si abbia bisogno di un Genio che ci aiuti a superare la crudezza del quotidiano vivere». “Aladino di tutti i colori” non si limita a raccontare una favola delicata e semplice. Con la sua naturalezza, infatti, porta avanti un progetto di convivenza universale che i Figli d'Arte Cuticchio hanno iniziato alcuni anni fa con lo spettacolo “Francesco e il Sultano” di Mimmo Cuticchio e Salvo Licata, dove accanto alla violenza che ha reso sanguinaria e cruda le crociate, i due attori mettevano in contrapposizione la cultura francescana. La spada veniva così sostituita dal Vangelo e l’aggressione cedeva il suo posto all’accoglienza. A dar vita ai personaggi di Aladino e a raccontare la delicatezza di questa favola, assieme a Cuticchio, saranno il narratore iracheno Yousif Latif Jaralla e i pupari manianti Giacomo Cuticchio, Fulvio Verna, Tania Giordano, Nori Takahasci; Scene e costumi sono di Pippo Miraudo mentre gli oggetti di scena sono opera di Tania Giordano e le luci di Marcello D'Agostino.

L’Associazione Figli d’Arte Cuticchio nasce per volere di Mimmo Cuticchio nel '77 con la quale realizza alcuni lavori importanti, tra i quali L'Infanzia d'Orlando (1990), Don Turi e Ganio di Magonza (1994 prodotto dal Teatro Stabile. di Palermo con Ciccio Ingrassia). Nel 1983, a dieci anni dalla morte del maestro, Cuticchio realizza in pubblico il suo primo spettacolo sul cunto, La Spada di Celano. Sono tre i linguaggi principali della comunicazione teatrale: il recupero delle tecniche tradizionali dei pupi e dell’arte del cunto, la ricerca e la sperimentazione. La ricerca, inoltre, di uno spazio espressivo dentro cui inserirsi, ha permesso alla compagnia di sopravvivere dal punto di vista artistico e valorizzare le tecniche dei pupari e dei cuntastorie. Cuticchio nasce nel 1948 a Gela dove nel frattempo si era stabilito il padre Giacomo Cuticchio, puparo “camminante”. Riceve sin da ragazzo un’educazione improntata sul rispetto della tradizione ma ben presto scopre come il mondo, nel suo continuo evolversi, sembra dimenticarsi dei valori culturali della cultura popolare. Inizia, così, un periodo caratterizzato dalla sua ostinata ricerca di una vita contemporanea all’Opera dei Pupi ed è proprio in questo periodo che incontra Salvo Licata che lo sostiene nel suo progetto. Oggi, dove la frenesia dei media ha abbattuto il fascino del racconto, sembra strano parlare di pupari e cuntastorie eppure per Cuticchio, il cuntastorie non è colui che racconta e quindi rappresenta la memoria di vecchie storie ormai relegate alla tradizione. Il Cuntastorie è il “suscitatore di spettacolo”, vale a dire colui che possiede regole e trucchi dell’arte del raccontare. Ma sono regole che vanno al di là della testualità del racconto e diventano parte dell’arte effimera dello spettacolo. Le storie sembrano aver perso il pubblico e dunque l’attenzione si rivolge a quella che è l’abilità con la quale si conducono i racconti. D’altra parte cuntare è un'arte e come tutte le arti ha un suo segreto. Un segreto che ancor oggi riesce ad ammaliare e stregare. Un segreto che Cuticchio da abile cuntatore mette in scena insieme alle sue storie. E su quest'ultima, quella di Aladino, gli abbiamo fatto qualche domanda ancora.

Qual è il messaggio che vuole inviare con "Aladino di tutti i colori"?
«Il nostro obiettivo è quello di dare voce ad un’operazione sociale ed umana. A differenza delle favole odierne, Aladino ha una morale anche se preferisco dire un sottotesto. E’ un messaggio di fratellanza e, infatti, lo spettacolo è rivolto a tutti, adulti e bambini ma i miei interlocutori ideali, in questo caso, sono i ragazzi. Palermo, oggi, è una città multietnica e la mia aspirazione è quella di vedere i bambini di tutti i colori e tutte le culture seduti assieme perché sognare senza differenze sociali è un loro diritto».

E’ un messaggio, quindi, universale.
«Infatti. Il teatro dei pupi è un teatro drammatico sia per i temi che per la tipologia. E’ un rituale antico ma voglio farlo conoscere come teatro contemporaneo di comunicazione. I temi che affronto, infatti, sono attuali e inseriti nella realtà che viviamo. Lo spettacolo è dunque universale e proprio per questo lo porterò in giro per il mondo. Tra le tante e diverse tappe, per esempio, il Marocco e l’Indonesia».

Oggi nel mondo domina la violenza e la guerra.
«Esattamente. Nello spettacolo, all’interno del testo c’è un momento in cui Aladino si ritrova ad affrontare una ribellione di spiriti maligni. In suo aiuto accorre il Genio al quale Aladino domanda: "E’ davvero necessario fare la guerra?. A questa domanda il genio risponde: No. Sono gli spiriti maligni che vogliono la guerra».

Nel 2001, il teatro dei pupi è stato riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità. Per raggiungere questo traguardo è stato necessario intraprendere un percorso di decostruzione e ricostruzione?
«Personalmente ho recuperato l’antico eliminando il sapore di vecchio che ha sempre caratterizzato quest’arte. Ho sempre pensato che se i giovani non si fossero appropriati di quest’arte, il teatro dei pupi sarebbe diventato un oggetto da museo. Per evitare questo nel 1997 ho aperto la scuola con l’obiettivo di trasmettere quest’arte in modo più organico».

Oggi il teatro dei pupi che tipo di teatro è?
«E’ un teatro vivo e attivo che fa sognare, riflettere e divertire. Nel mio laboratorio insegno l’arte della regia, della recitazione ma soprattutto insegno a dimenticare il tempo. In questo mondo che c’invita a correre è importante fermarsi, gettare le maschere e riflettere su tutto ciò che ci circonda».

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