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L’Inventione di Rosalia, Nostra Vergine delle Rocce

Il pescatore Vito Amodeo, il 15 luglio 1624, estrasse dalla grotta della Santuzza i pezzi di roccia con le ossa di più persone: viaggio tra leggenda e storia

  • 7 giugno 2007

Tra i fiori della Chiesa palermitana non mancano le rose e i gigli. In Cattedrale, dietro l’alta grata che impedisce ai fedeli il contatto fisico con il fascino inquietante che emana dalla cappella delle reliquie, la scritta rimanda all’ardua vicenda umana e celeste di Rosalia Sinibaldi. Vergine non martire sempre coronata di rose e santa dalla storia controversa, non per i miracoli innumerevoli, s’intende, quanto per il modo in cui le sue ossa furono ammesse di necessità e quasi d’autorità nel nostro “Tempio dei Re”. In un periodo dei più tragici, tra il 1624 e il 1626, mentre la peste nera sterminava trentamila dei circa 120mila palermitani compresi nella città bastionata. E quanto difficile fosse stata quella elevazione agli altari si deduce dal prezioso Originale delli testimonij di Santa Rosalia edito nel 1997 dalla Biblioteca Comunale. Un testo cui essenzialmente attingiamo per le dichiarazioni giurate di quanti, firmando anche con semplice segno di croce, vollero dire qualcosa sulla Inventione dei sacri resti nella grotta del Pellegrino o sui successivi prodigi. Testimonianze che fornirono le caratteristiche storiche e ambientali del contesto del miracoloso ritrovamento. Di una vicenda, cioè, intessuta di visioni e sogni, della fede di santi uomini e modesti artigiani, di nobildonne e popolane moribonde e risanate, di “santa” ignoranza e di “tenerezza interna di cuore” prevalente sulla scienza medica, di ragioni di stato e d’ordine pubblico. Mentre detto volume non poteva non aprirsi con la prima e fondamentale testimonianza, quella resa dal pescatore Vito Amodeo che, sulla scorta di indicazioni sognate da una congiunta, il mitico 15 luglio 1624 estrasse dalla grotta della Santuzza i pezzi di roccia con le ossa di più persone, subito inviati al cardinale Giannettino Doria. E va da sé che mentre la notizia dell’inventione arrivava fulminea nella città disperata, i monaci francescani e gli altri presenti allo scavo fecero congrui approvvigionamenti di frammenti delle ossa fossili e delle pietre della caverna. Particole che, “e contactu” con le vere reliquie, s’erano impregnate di doti taumaturgiche presto impiegate con incredibile successo.

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Mentre per quanto riguarda l’arduo iter seguito dalle autorità per arrivare al riconoscimento d’autenticità delle venerate ossa, è noto da sempre che un primo esame specialistico fatto in casa del Cardinale si concluse con la desolata dichiarazione di un collegio di medici che dissero di non potere nemmeno distinguere le ossa dai sassi che le inglobavano. Sicchè a questo punto riteniamo vada anche ricordato che non risponde proprio a verità la notizia secondo cui nel mitico 15 luglio 1624 l’epidemia perse immediatamente virulenza. Perché se è vero che già nel settembre del 1625 la città venne dichiarata libera dal male, è altrettanto vero che, dopo un’atroce recrudescenza, i vari lazzaretti palermitani furono definitivamente chiusi solo il 15 luglio del 1627. Ma per tornare ad un vieppiù tragico inizio del febbraio 1625 - quando in processione la gente si flagellava a sangue per rotolarsi poi nel fango co le spinose corone in capo e mentre il potente gesuita Cascini deplorava la dannosa prudenza dei medici nel riconoscere l’autenticità delle ossa – il Doria anche capitano del regno, alla morte del vicerè sabaudo non poté trascurare il fatto che in lui si assommavano i massimi poteri religiosi e mondani. Ciò lo indusse a non dilazionare oltre il riconoscimento, convocando un secondo collegio medico che il 15 febbraio concordò su un fatto ben preciso. Le casse piene dei reperti anatomici esaminati contenevano due tipi di ossa umane. Alcune brutte di colore et d’odore non grato, avviluppate non di pietra ma di terra fezosa mentre le altre dalla delicatezza più presto di donna che d’homo, politi speciosi et bianchi, di grato e piacevole odore, quasi d’amatisti, berilli et cristalli, erano certo appartenenti a qualche corpo santo. Caratteristiche confermate tra gli altri dal medico Herosimus Salato e dal regio protomedico Francesco Fiochetti, lo stesso 15 febbraio. E fu ancora in questi termini che seguitarono fino al 18 successivo gli altri specialisti. Finché, il giorno seguente arrivò la decisiva confessione del celeberrimo saponaio e cacciatore Vincenzo Bonello il quale, in punto di morte, ripeté più volte a santi uomini di fermissima fede ciò che gli aveva detto e raccomandato di fare la Santa Rosalia che gli era apparsa di faccia d’angelo, bella e di splendore grande il 13 febbraio ad hora di vespro davanti alla sua grotta del Monte. E che aveva così replicato in lui, curiosamente e da un altro capo del mondo, la struggente figura dell’indio Juan Diego altrettanto terreno messaggero della Virgen Morena di Guadalupe.

Bonello dichiarò, tra l’altro, di aver chiesto alla Santa perché Ella non fosse fino ad allora intervenuta in favore della gente che moriva nella disgraziata città. La risposta della Santa non lasciò più alcun dubbio in merito: Se Palermo non ha ancora ottenuto la gratia è perchè molte persone sono incredule e vanno facendo dispute delle mie veri ossi, e dubbi, e perciò insino all’hora la città non ha ottenuto la gratia del mio Signore. Però io l’ho ottenuta dalla gloriosa Vergine che me la ha promessa per quando, pubblicatosi il mio nome, si farà la processione del mio corpo per tutta la città. E però ora ti dico e ti comando da parte di Dio che ... a Palermo manderai subito il tuo confessore ... che dica al Cardinale che il mio vero corpo e li miei veri ossa sono quelli che il detto Signor Cardinale tiene all’arcivescovado nella sua camera...nè si faccian più dispute e dubbi...e per segno della verità tu in arrivare a Palermo cascherai malato di questa infermità che corre e ti morirai. Fu così che Bonello, a un passo dalla morte sopraggiunta davvero, ricostruì più volte la sua visione. Senza mai contraddirsi davanti a confessori di rango, chierici e notai. Mentre, prima, durante e dopo quest’ultimo episodio non si contavano le guarigioni documentate e dovute ai suddetti frammenti di pietra e d’osso prelevati dai francescani ma anche da tanti privati cittadini. Dunque, momenti di estrema tensione sociale e spirituale durante i quali al Cardinale non restò che ordinare, per il 22 febbraio, la traslazione in Cattedrale delle riconosciute reliquie. Provvisoriamente in una bella cascia per hallora di tela d’argento, con l’ossequio dell’Illustrissimo Senato et con l’applauso grandissimo di populo, come conclude il redattore dell’ultima confessione del Bonello. Senza mancare d’accennare alle migliaia e migliaia di miracoli connessi al trasferimento delle autentiche ossa della gloriosa santa Romitella, perpetua protettrice della Città di Palermo. S’intende, nell’esaltante contrappunto del celeberrimo “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Il saluto che ancora oggi, orgogliosi eredi d’una palermitanità mai rinnegata, continuano a scambiarsi in tutto il mondo i nipoti di quel popolo piagato e visionario, rissoso ma profondamente e disperatamente intriso di fede, che forse non avrebbe rifiutato di sentirsi dire fatto anche della stessa stoffa dei sogni.

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