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L’ultimo Salvatores: “Quo vadis, baby?”

  • 4 giugno 2005

Quo vadis, baby?
Italia, 2005
Di Gabriele Salvatores
Con Andrea Renzi, Luigi Maria Burruano, Claudia Zanella, Gigio Alberti, Angela Baraldi

Come può essere spietata la camera dei ricordi; ma esiste un limite al passato, oltre il quale non è lecito cercare?
Questo è l’interrogativo che il regista Gabriele Salvatores, insieme a Fabio Scamoni sceneggiatore, partendo dall’omonimo romanzo di Grazia Verasani (ed. Colorado noir), ha rivolto al pubblico con il film “Quo vadis, baby?” (prodotto da Maurizio Totti per la Colorado film, in collaborazione con Medusa e Sky). Nel corso della conferenza stampa Salvatores confessa «è lecito indagare nel passato di fronte alla politica e al sociale, ma non ho risposte di fronte alla sfera personale. Nel mio film mi limito a raccontare una storia privata dinanzi a questa scelta. La protagonista riesce a fare un’indagine nel passato, che è anche il suo, e nel farlo rimuove, anche se non sa che ciò che ricostruisce è comunque una conoscenza ridotta rispetto a quella destinata al pubblico, unico testimone della storia nella sua totalità».

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Il film – un noir al femminile in una Bologna dai colori scuri – è una ricerca a sedici anni da un suicidio che l’investigatrice privata Giorgia Cantini, interpretata da Angela Baraldi, compie nel proprio sé fatto di affetti familiari divisi. Una storia che, come in scatole cinesi, si svolge attraverso una telecamera che immortala, in un omaggio – come lo è peraltro il libro da cui è tratta la sceneggiatura – al cinema, amato e vilipeso, mondo surreale che favola non è, che trasforma la realtà in sangue e la celluloide in testamento-confessione agli occhi dello spettatore. L’effetto voyeur c’è tutto e si nota. Anche perché la storia del suicidio dell’aspirante stellina Ada Cantini (nel film interpretata da Claudia Zanella), e che nell’omonimo libro la scrittrice Verasani fa conoscere in tre modi diversi all’altro personaggio Giorgia (oltre che detective, sorella di Ada), nella sceneggiatura di Salvatores si trasforma in un puzzle indiziario attraverso un solo canale privilegiato: il televisore collegato a un VHS. «Tutto il progetto di questo film – dice Salvatores – è stato, fin dall’inizio, sperimentale. Dalla scelta del romanzo, la cui anima è cinematografica ma la cui struttura narrativa è basata sul flusso di coscienza, alla decisione di girare in digitale ad alta definizione, alla scelta degli attori (alcuni “nuovi” al pubblico) e, comunque, un progetto, come anche i successivi a “Mediterraneo” [Oscar nel ’92 come miglior film straniero, n.d.r.], attraverso il quale cercare per imparare qualcosa di innovativo nelle tecniche di ripresa e nella narrazione di immagini. C’è, infatti, una teoria filosofica che sostiene, che una volta che racconti qualcosa a qualcuno già ne determini il cambiamento e pertanto il racconto d’origine si perde. Il metodo giusto – conclude Salvatores – sarebbe, pertanto, quello di lasciare all’interlocutore utili elementi d’indizio per scoprire la cosa, pervenire alla storia e da questa ricostruire il racconto».

Tornando alle sequenze, a quell’effetto voyeur, il pubblico viene condotto dalla protagonista a spiare (attraverso un collage di cassette VHS) alla vita di un’altra protagonista, a ricostruire intrecci, ma anche a partecipare a una parallela indiscreta attualità sempre più pervasa da oscurità invadenti (cellulari, scatti fotografici rubati e spy-lovestories), a essere complice di investigazioni giustificate dal professionale intervento spietato dell’occhio “ricostruttore-distruttore” di storie altrui (alla faccia del garante della privacy!), ma che rivela il suo profondo disagio quando quell’altrui indagato siamo noi stessi. Un paradosso quest’ultimo, che viene sintetizzato nel sottotitolo in locandina: “la verità è una bugia ancora tutta da svelare”. Insomma, un effetto voyeur che partendo e tornando a quelle “registrazioni in Vhs” affida al pubblico tutti gli elementi per unire la storia in una sola realtà, quella delle protagoniste insieme ai restanti personaggi – questi ultimi, nell’ordine: Luigi Maria Burruano (nel ruolo del capitano Cantini), Gigio Alberti (alias Andrea Berti), Alessandra D’Elia (Anna Loy), Andrea Renzi (Commissario Bruni) ed Elio Germano (Lucio). Un effetto voyeur raffinato, in certi passaggi un po’ scontato ed automatico, che corre e scorre in un “play e re-wind”, nel presente e nel passato, nel mirabile e intercalante filo conduttore musicale rappresentato dalla colonna sonora curata da Ezio Bosso e registrata nello studio di Philp Glass a New York. Evidente il confronto passato-presente, fin dalle prime riprese, tutto basato nel suggestivo sottofondo di “Impressioni di Settembre” della PFM e che Salvatores fa vivere allo spettatore con un passato evocato da una pellicola superotto ingiallita e un presente di scatti fotografici della professionale Giorgia Cantini.

“Impressioni di Settembre” che torna anche nel finale, in una cover arrangiata da Bosso e interpretata dalla stessa Angela Baraldi (alla sua prima esperienza cinematografica, che spogliata delle vesti di Giorgia ritorna al ruolo originario di cantante). Un film che, oltre ad essere ricerca, è anche amore per il cinema, come appunto detto, amore coltivato nella speranza, nelle ambiguità della vita, nella solitudine, nella sincerità taciuta, quasi a confermare le parole di Ada “…il cinema è puro, e io lo difendo”. Un amore, quello per il cinema, che si esprime anche attraverso due gioielli incastonati capaci di chiarire alcuni momenti cruciali del film – le sequenze tratte da “Ultimo tango a Parigi” (“Quo vadis, baby?”, che da titolo al film, è appunto una battuta celebre del copione di Marlon Brando) e “Il mostro di Dusseldorf” di Fritz Lang. «Un cinema amato che – come sottolinea Salvatores, alla platea di studenti della Facoltà di Scienza della Formazione e del DAMS – si è trasformato in un prodotto di nicchia, ma che deve uscire da questa nicchia, per riconfermare quella sincerità che deve essere anima di tutti quelli che lo fanno e lo rendono possibile. Un cinema che deve affrancarsi dal preponderante pattume di un’attualità, come già profetizzava Pasolini, fatta di “televisione e pornografia”».

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