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La donna non è "chissachè": la petizione on line

I cittadini in protesta contro le pubblicità che violano la dignità della donna, ne propongono l'oscuramento ed un accordo tra Comune ed agenzie pubblicitarie

  • 27 ottobre 2012

Il femminismo non è più di moda almeno quanto non lo è più il rigore della Santa Inquisizione, ma non è certo una battaglia per puritani quella che si sta scatenando contro la campagna mediatica di una compagnia telefonica palermitana, rea di aver utilizzato come leitmotiv di tutta la cartellonistica pubblicitaria, il solito (e ormai familiare) fondoschiena tondo e tonico, farcito di tutto quello che può considerarsi lo stereotipo dell’osè e dell’ammiccamento.

Niente di nuovo in verità, vista la crociata di sederi e seni al vento che quotidianamente invadono i media con la presunzione di possedere velleità comunicative. La novità, nella denuncia portata avanti da alcuni liberi cittadini - riuniti sotto lo slogan "Non ti credere chissachè. Rispettiamo il corpo delle donne" - e sottoscritta a catena da tantissimi altri aderenti, non sta tanto nella contestazione dell’ennesimo messaggio pubblicitario sessista, ma nella nuova consapevolezza, veicolata da quei manifesti: più si continuerà a proporre il corpo di una donna come oggetto del desiderio (un ritornello già troppo famoso), più diventerà legittima una società dove l’abuso e la prevaricazione per la conquista ed il possesso di quel corpo, sono attività alla stregua delle più banali competizioni umane.

Certo, il moto di indignazione assume un tono ancora più accorato, a ridosso di alcuni fatti di cronaca che hanno scosso profondamente la sensibilità pubblica: «Non stupiamoci se nell’immaginario collettivo un corpo ormai ha la valenza di un oggetto con tutte le conseguenze del caso - dice Titti De Simone, tra i promotori del movimento di protesta - Considerare il corpo come una proprietà privata comporta gesti anche tragici, compreso l’esercizio della violenza su quella stessa proprietà che si ama ma che non si ha più».

Da questo allarme, l’idea di un appello alle istituzioni affinchè si smetta di assecondare l’usanza di propinare immagini offensive e lesive della dignità femminile. L’idea suggerita dal movimento all’Amministrazione di Palermo è che, alla pari di altri comuni italiani, anche in città si stipuli un protocollo d'intesa tra Comune, agenzie pubblicitarie e organi mediatici, perché non solo si proceda all’oscuramento dello spazio pubblico che ospita le pubblicità “incriminate”, ma si recepisca a livello locale quanto indicato dalla normativa Europea in materia: la tutela della donna prima di tutto, prima di ogni facile piacioneria mediatica, allettante sì, ma ortodossa.

«Serve una solida campagna di sensibilizzazione sulla parità e la non discriminazione tra i generi, contro omofobia e la transfobia nell'ambito della pubblicità - continua Titti De Simone - sulla scorta di quanto già intrapreso in alcune città italiane come Rimini, con il coinvolgimento degli operatori del settore, vietando i manifesti che ledono la dignità delle donne: si tratta di messaggi sottoculturali e diseducativi che alimentano sotto varie forme, la violenza maschile contro le donne».

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