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La ragazza delle balene

Nello splendido paesaggio della Nuova Zelanda, Niki Caro, talentuosa cineasta, ambienta un soggetto derivato dal romanzo di una scrittrice maori, Witi Ihimaera

  • 4 dicembre 2003

Whale Rider
Nuova Zelanda/Germania 2002
Drammatico/Avventura
Di Niki Caro
Con Keisha Castle-Hughes, Rawiri Paratene Vicky Haughton, Cliff Curtis

Una favola che racconta la formazione di una bambina maori (Paikia) che, portando con sé la consapevolezza d’essere destinata a divenire la nuova guida del suo popolo, incontra l’ostile rifiuto del nonno paterno che la considera un segno di sventura a causa della sua tragica nascita, costata la vita alla madre e al fratello gemello. Nello splendido paesaggio della Nuova Zelanda, dove ci sono montagne come enormi dinosauri addormentati sul mare e rocce scanalate come ventri di balene che si tuffano sull’oceano pacifico, Niki Caro, talentuosa cineasta al suo secondo lungometraggio, ambienta un soggetto derivato dal romanzo di una scrittrice maori, Witi Ihimaera. Il plot è più che mai semplice - a tratti scontato - uno scontro generazionale ed una contrapposizione tra un personaggio eroico, quello della protagonista, e del suo antagonista, il nonno, che alla fine non potrà che vedere vincitrice la giovane eroina. Sullo sfondo del contrastato rapporto tra Paikia e suo nonno, si svolge un altro racconto, più interessante e forse più affascinante: Niki Caro, dopo "Once were warriors" riporta sul grande schermo il popolo dei maori, per restituirlo in un ritratto molto diverso da quello che Lee Tamahori ci aveva proposto nel 1994.

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I maori della Caro sono un popolo con una forte identità ancora viva, che combatte con dignità e tenacia la sua lotta giornaliera per conservare le tradizioni secolari e i rituali antichi, fatti di canti, danze, costumi e decorazioni corporali dai colori accesi che esprimono la forza e anche la combattività di questo popolo di guerrieri. Una simile esaltazione della virilità ha sempre avuto come diretta conseguenza la marginalità della figura femminile, infatti, anche i maori hanno sviluppato una forte componente misogina, uno degli elementi che renderanno più complesso e difficile l’accettazione della leadership di Paikia da parte del nonno. Sfortunatamente la cineasta neozelandese, presa dal suo desiderio di raccontare il mondo dei maori e di restituirci i suggestivi paesaggi neozelandesi, attraverso la bella fotografia di Grant Narbey, dimentica di dare maggiore rigore all’evolversi della trama, trasformando quello che avrebbe potuto essere un racconto archetipico, dello spessore de "Il ritorno" (film russo vincitore dell’ultima edizione del festival di Venezia) in una fiaba per ragazzi. Tuttavia, "Whale Rider" – questo il titolo originale – resta un film gradevole, che ha molto da dare e che è un peccato perdere: oltre alla storia del popolo maori, infatti, un motivo valido è l’ottima interpretazione della giovane protagonista.

Keisha Castle-Hughes, nei panni di Paikia, al suo debutto cinematografico, regala al pubblico un’interpretazione sommessa e mordace, che raggiunge il suo apice nel "non detto" e nelle reticenze tanto che, nei primissimi piani che la ritraggono con le sopracciglia aggrottate e le labbra che tremano per l’emozione o per il dolore causato dal testardo rifiuto del nonno, sembra di rivedere il volto indimenticabile della Giovanna D’Arco di Dreyer, magistralmente interpretata da una grandissima Renèe Falconetti, che - in questo capolavoro del cinema muto - ha costruito il personaggio dell’eroina francese tutto sulla sua forza emotiva e la sua carica espressiva. Altro elemento che ben si amalgama con la storia raccontata, è la colonna sonora cantata dalla splendida voce di Lisa Gerrard, ex vocalist dei Dad Can Dance, che diventa uno degli elementi fondamentali per la costruzione dell’atmosfera magica e incantatrice del film. Indimenticabili le riprese subacquee che catturano la lenta danza delle balene: un animale sacro per il popolo dei maori, che li avrebbe salvati dall’estinzione portando il loro capo tribù attraverso l’oceano, fino alla Nuova Zelanda, a cavallo del suo enorme dorso incrostato di rocce calcaree.

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