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La terra dei morti viventi: senza tomba né pace

  • 5 settembre 2005

La terra dei morti viventi (Land of the dead)
Canada, Francia, USA, 2005
Di George A. Romero
Con Simon Baker, John Leguizamo, Asia Argento, Dennis Hopper

George A. Romero è tornato. E con lui sono tornati gli ormai familiari zombi della lunga serie, in “La terra dei morti viventi” (quarto capitolo del ciclo romeriano iniziato nel lontano 1968 con “La notte dei morti viventi”). In quel cult-movie sporco e cattivo girato a basso costo, i morti rimasti insepolti ritornano in vita per colpa di una sonda spaziale. Nel sequel realizzato nel 1978 prodotto da Dario Argento e intitolato semplicemente “Zombi”, la favola si trasforma in una metafora sul consumismo strisciante. Nel terzo capitolo, girato nel 1985, “Il giorno degli zombi”, Romero accentua il versante politico della vicenda, e i suoi morti viventi diventano padroni della terra mentre i vivi vegetano nel sottosuolo: una condizione che anticipa la contemporanea realtà dell’America di Bush, preda delle tentazioni belliche e della minaccia terroristica, una tematica sviluppata con stile iperrealistico e visionario dal nostro maestro dell’horror, con un implacabile sguardo splatter che ancora riesce ad inquietarci. Non altrettanto può dirsi degli altri remake dei suoi film sugli zombi, dal primo “La notte dei morti viventi” maldestramente condotto dal creatore del make-up Tom Savini (che Romero utilizza spesso come attore- zombie in molti suoi film, compreso quest’ultimo) fino al recente "videoclipparo" “L’alba dei morti viventi”, tratto da “Zombi”.

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Il buon vecchio George (il cui nome nel manifesto viene prima del titolo, come è giusto), con “La terra dei morti viventi” (arrivato dopo una lunga pausa creativa, dopo “La metà oscura” del ’93 e “Bruiser” nel 2000), lavora col budget più alto della sua carriera (18 milioni di dollari), mercè la distribuzione di una major, la Universal, anche se non perde il suo gusto artigianale insieme allo smalto che ci sembra quello dei bei tempi. Diciamo anzi che questo è il miglior horror degli ultimi anni, quello con le scene d’azione meglio girate e serrate, come non siamo abituati più a vederne. L’atmosfera che si respira è di quelle notturne e minacciose: la terra è in preda agli zombi (nel film chiamati gli “appestati”) divisi dai cosiddetti rimanenti capitalisti che abitano in un grattacielo apparentemente inviolabile, il Fiddler’s Green, il cui proprietario è il potente magnate Kaufman (Dennis Hopper) e dove si vive da “protetti”, separati dalla tragica realtà di fuori. L’esercito ha provveduto a fortificare la città con un recinto fatto di scariche elettriche, isolando un ghetto, dove naturalmente regna la miseria. E’ qui che incontriamo il comandante Riley (Simon Baker) insieme a Cholo (John Leguizamo), l’un con l’altro in contrasto ideologico, ma entrambi impegnati a guidare un gruppo di disperati antieroi per sterminare gli zombi con il rituale colpo fatale (sono costretti a mirare sempre alla testa).

Relativamente protetti da un carrarmato chiamato “Dead Reckoning”, Riley e Cholo sono foraggiati dal miliardario proprietario del grattacielo, uno di quei magnati alla Kane che ha il controllo persino del discutibile circo dove si affrontano, come ai tempi di Spartacus, degli zombi, mentre la carne umana fa da cavia. La mercenaria di professione prostituta si chiama Slack, interpretata da Asia Argento che segue docilmente le indicazioni del regista e maestro, osannato anche da papà Dario. Nella finzione è Riley a guidarla e la ragazza si unisce così al gruppo. La situazione diventa presto incandescente, coi morti viventi guidati dal robusto benzinaio di colore Big Daddy (la cui espressione malinconica e cupa rimanda ai personaggi dell’iconografia romeriana), tutti intenzionati ad assediare il fatidico grattacielo. Cinema puro quello di Romero, non privo però di finezze narrative e di coloriture metaforiche allusive rispetto ai malesseri che ci pervadono, con i relativi ammonimenti contro l’arroganza degli uomini. Apocalittico come “La guerra dei mondi”, politico come i documentari di Michael Moore, disperatamente plumbeo, questo film evoca il medioevo in cui siamo sprofondati, da morti senza tomba e senza pace.

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