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Né "Hot" né divertente: che delusione "Hot Movie"

  • 10 luglio 2006

Hot movie (Date movie)
Usa, 2006
di Aaron Seltzer
con Alyson Hannigan, Adam Campbell, Sophie Monk, Eddie Griffin, Meera Simhan

Spiace doversi ripetere, ma occorre di nuovo lanciare la consueta filippica contro gli adattatori e i distributori italiani. Sembra di essere tornati agli anni Settanta, in cui ogni occasione era buona per suggerire allusioni boccaccesche e trascinare in sala il pubblico voyeur. A dispetto del titolo italiano e delle raccapriccianti frasi di lancio (“un film con il lubrificante”), però, “Hot movie” non è per niente un porno, e nemmeno un film erotico. Il sesso è certo una componente fondamentale (come del resto in ogni parodia bassa che si rispetti), ma l’universo ridicolizzato è piuttosto quello delle commedie romantiche con traversie sentimentali di coppia (difatti il titolo autentico sarebbe “Date movie”).

E se i francesi lo hanno battezzato “Sexy movie”, non dobbiamo sentirci per questo meno provinciali e meno colpevoli di circonvenzione dello spettatore (non poi così tanto come si crede) incapace. Il modello è quello “Scary movie”, ma fin da subito si dichiara esplicitamente il gioco al ribasso (solo due dei sei autori sono rimasti coinvolti in questa operazione). Come già detto, messo da parte il genere horror, ci si concentra prevalentemente sulla romantic comedy.

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Abbiamo così una novella Bridget Jones (obesa quanto Gwyneth Paltrow in “Amore a prima svista”) con famiglia alla “Il mio grosso, grasso matrimonio greco”, che ha delle remore etniche come quelle di “Indovina chi” (solo che loro sono greco-indù-ebraico-giapponesi…). La ragazza incontra lo Hugh Grant della sua vita, la qual cosa darà vita a un intreccio sulla falsariga di “Ti presento i miei” (con annesso “Mi presenti i tuoi?”). In mezzo ci sono anche “Hitch”, “Pretty woman”, “Quarant’anni vergine”, “Napoleon Dynamite” e un altro centinaio di citazioni sparse (da “Il Signore degli Anelli” a “King Kong”). Cambiano i riferimenti, ma il meccanismo è sempre quello della saga capostipite e in particolare abbondano le analogie con il coevo “Scary movie 4”.

Si prendono più soggetti di film famosi (perché uno solo non basta a reggere la trama) e li si incastrano insieme, connettendoli con una serie di gag che hanno ben poco a che fare con la parodia in senso stretto, ma giocano più che altro con il disgusto provocato da scoregge senza ritegno, brufoli scoppiettanti, palle di pelo umano e liquidi corporali di qualsiasi natura. Trasmigrano anche alcuni topos e personaggi feticcio della quadrilogia dei Wayans (Micheal Jackson, Carmen Electra, il mondo “hip hop” e “R’nB”). Il problema (oltre che la totale mancanza di inventiva, di fantasia, di creatività nell’elaborazione degli spunti base e nell’elevarsi al di sopra della semplice scurrilità scatologica) sta nel fatto che gli originali sono molto più comici e grotteschi della loro versione caricaturata.

Voglio dire, come si fa a parodiare “Ti presento i miei” se il film è già di per sé una parodia di classici della commedia sentimentale? Si possono soltanto riprodurre quasi letteralmente le scene, esasperando solo un pochino i caratteri e le situazioni (si passa cioè da Focker a Fockyerdoder). Piuttosto che piacere nell’indovinare le fonti (tutte abbastanza autoevidenti) si prova fastidio per l’ammiccamento forzato e noia per essere costretti a rivedere sempre le stesse situazioni (ad assistere per l’ennesima volta al duello di “Kill Bill” si rischia l’attacco isterico). Come già “Scary movie 4”, “Date movie” si segnala per una tendenza relativamente inedita, quella cioè di trascinare nel vortice del magma oggetto di dileggio anche (o, forse, soprattutto) il mondo televisivo e tutto ciò che vi ruota intorno.

Qui si occhieggia a trasmissioni cult come “Pimp my ride” e “The bachelor” e alla reginetta dei reality Paris Hilton. Nell’ultimo film di Zucker, ad Oprah Winfrey e al dottor Phil McGraw, volti noti del tubo catodico statunitense. Preoccupante? Sicuramente rilevatore di una tendenza di “invasione di campo” (segnalata anche dai numerosi remake di serie televisive che approdano sul grande schermo) che spinge ad appianare sempre di più le differenze tra media e a cancellare le specificità dei mezzi espressivi (gli sketch di “Date movie” sono decisamente televisivi).

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