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Onore ai santi, magnificenza a tavola

  • 23 gennaio 2007

Il 17 gennaio è la festa di Sant’Antonio Abate, detto anche dei porci, per l’iconografia con cui viene dipinto: un bastone in mano e il maialino al seguito. Oggi non è più una ricorrenza particolarmente seguita. Ma fino al XIX° secolo era usanza di portare gli animali parati a festa, ornati con sonagli e ninnoli, che tintinnavano ad ogni piè sospeso, nella chiesa del santo per farli benedire dai preti. Gravi sciagure sarebbero capitate a chi non avesse adempiuto al precetto. Quel giorno si doveva camminare a piedi, con gioia e buona pace degli armali, suppongo! Immaginate una grande fiera, in cui si potevano vedere cavalli, muli, asini, tori e mucche, tutte le bestie da soma riunite nel sagrato… E questo prima che ci invadessero le macchine. La festa deriva dalle cerimonie pagane di propiziazione della primavera, dedicate al culto di Demetra. Poi la Chiesa le ha inglobate e trasformate in feste religiose. Cosa rimane a noi di questa festa? Il porco! Magnificare il maiale con i nostri aromi che esaltano la sua carne dolce e, contrariamente a quanto molti pensano, magra. Una delle ricette più delicate e ricercate è quella della lonza con il miele e l’arancia.

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Io l’ho gustata da una cugina della mia mamma. Una di quelle donne che, sembra abbiano tutto: bella, intelligente, ottima padrona di casa, ottima cuoca. Sembra che tutto le riesca facile. Strabilianti i suoi dolci. Da delirio lo sformato di pasta. Essere invitati da lei è un evento a cui pochi rinunciano. Alla mia richiesta di spiegazione mi ha detto che è una ricetta antica e semplicissima, richiede solo tempo e pazienza. Bisogna iniziare preparando un intingolo abbondante di vino e arancia, diciamo due bicchieri di succo per ogni bicchiere di vino, in cui sono stati sciolti tre cucchiai di miele; il tutto deve essere aromatizzato con l’anice stellato, in questo caso meglio dei semi di finocchio, due spicchi d’aglio schiacciati, una foglia di alloro, due cucchiaini di cannella e due chiodi di garofano. Fatto questo si lascia il tocco di carne a marinare per almeno due ore. Chiaramente aumentate la quantità del liquido di marinatura a seconda della grandezza del tocco. Poi prelevate la carne e mettetela in una teglia unta con l’olio extra vergine e coperta da fettine di cipolla. Lasciate cuocere a fuoco medio per una buona mezz’ora e solo ora aggiungete nella teglia il liquido di marinatura. Adesso entra in gioco la vostra bravura.

Controllando la doratura della carne, dovete stare attenti che si incrocchiolisca ovunque, rigirandola sempre e bagnandola col sugo di cottura. L’operazione durerà per lo meno un’oretta a fuoco medio. Togliete la carne, fatela raffreddare e tagliatela a fette. Sistematela sul piatto da portata. Nel frattempo versate il liquido di cottura, dopo averlo setacciato, in una salsiera e, a parte, frullate le cipolle, che servirete in un’altra ciotola. Prima di portare a tavola assicuratevi che la carne sia ancora calda e decorate il vassoio con dei fiocchi di purè. Quel giorno, devo ammettere, che eravamo tutti estasiati. Cogliendo la palla al balzo, ho invitato mia madre a cimentarsi con una simile ricetta, visto che, a quanto diceva la cugina, sembrava essere così semplice. Dopo i cenni con la testa durante la spiegazione, alla proposta mia madre ha reagito con un fugace e stizzito “Vedremo” equivalente a un “Puoi fetere!”. Mi chiedo che fare accoppare il porco o la mamma, cucinare il maiale, tanto chi fa da sé fa per tre, oppure farsi invitare più spesso dalla cugina? Ancora valuto le possibilità…

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