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"Prometeo", specchio universale dei problemi dell'umanità

  • 2 febbraio 2006

Il consumismo sfrenato, la virtualità dei sentimenti in cui tutto è più facile e veloce, il benessere esteriore e l’ansia dell’apparire. Questi sono i capisaldi della nostra era, ma se tracciamo rapidamente il profilo dell’uomo, il ritratto che ne viene fuori è ancora più desolante. Appare, infatti, come figlio della ragione convertito però a nuovi valori che oscurano la sua mente. Le antiche virtù che lo rendono libero sembrano essere scomparse e la società attuale vaga verso terre deserte. Su queste tematiche il teatro Libero di Palermo (salita Partanna,4) opera una riflessione rappresentando uno dei miti più significativi della cultura occidentale, “Prometeo” di Eschilo, progettato e diretto da Lia Chiappara, in scena il 12, 16, 17 e 18 febbraio alle 21.15 (ingresso 12 euro intero, ridotto 8 euro per gli under 25). In questo tempo illusorio, le dinamiche tragiche ci sono tutte. C’è il potere che rende libero il suo detentore, c’è chi sogna la libertà ma non sa da dove cominciare, c’è l’uomo che ha smarrito la propria coscienza.
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Nella tragedia, Prometeo è un dio umano, “colui che pensa prima” e quindi dotato dell’intelligenza che non accetta la schiavitù dell’uomo reso completamente privo di autonomia da Zeus, la cui figura è paragonabile a quella di un monarca assoluto. Prometeo si ribella a questa realtà e diffonde tra gli uomini la democrazia sociale, dona loro il fuoco e quindi il lavoro per migliorare la loro esistenza. Insegna loro a costruire case di mattoni, a riconoscere le stelle, la scienza dei numeri e l’arte di formare le parole. In breve, dona loro l’unico strumento per realizzare la propria libertà: la conoscenza. La condanna per aver disobbedito al volere di Zeus è l’esilio eterno dall’Olimpo. Una pena che lui conosceva già da prima ma che accetta per il solo amore degli uomini. Il Titano rappresenta l’evoluzione umana ed oggi, paradossalmente, pur avendo attuato il processo evolutivo raggiungendo livelli eccezionali, l’umanità sembra essere tornata a quello stadio primitivo di schiavitù.

Ha creato con le proprie mani una società che divinizza personaggi, immagini e status symbol nelle quali si rispecchia e s’identifica, rendendosi così schiavo delle sue stesse vanità ed ambizioni. Lo spettacolo, interpretato da Gabriele Calindri, Andrea Failla, Massimiliano Lotti, Alessandra Pizzullo, Gabriella Pochini ed Elisabetta Ratti, si presenta come una riflessione che, utilizzando la tragedia come strumento, indaga su ciò che oggi è andato perduto. In questo medioevo tecnologico che ha ucciso la coscienza umana viene, dunque, rievocato un mito antico che a questi e ad altri interrogativi propone l’unica soluzione reale, la riconquista da parte dell’uomo della conoscenza. In altre parole, il risveglio dell’intelletto per vivere dignitosamente.

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