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“Romance & Cigarettes”, lo zampino dei Coen in un musical atipico

  • 15 maggio 2006

Romance & Cigarettes
U.S.A., 2005
di John Turturro
con James Gandolfini, Susan Sarandon, Kate Winslet, Steve Buscemi, Christopher Walken, Mandy Moore, Mary-Luise Parker, Aida Turturro

L’ombra dei fratelli Coen grava su quasi tutto “Romance & Cigarettes”, terza incursione alla regia di uno degli attori coeniani per eccellenza, John Turturro. Personaggi stralunati, dialoghi pungenti e provocatori, impianto corale in cui brillano spesso più i comprimari dei protagonisti: tutte marche stilistiche che ritroviamo nella filmografia del duo indipendente hollywoodiano. Anche l’aspetto musicale, che è il tratto caratteristico di questo “Romance & Cigarettes”, è sempre stata una componente essenziale nelle opere dei Coen. Non sarebbe stato difficile trasformare in musical, ad esempio, “Arizona Junior”, “Fratello dove sei?” o “Mr. Hula Hoop” che, con la loro dimensione fantastica e sospesa, si sarebbero prestati naturalmente a un simile genere cinematografico. L’operazione che qui tenta Turturro è di partire da una situazione realistica, la vita di una famiglia proletaria nei sobborghi di New York, e raccontare uno degli intrecci più classici – il marito operaio (James Gandolfini) tradisce la moglie (Susan Sarandon) con una rossa focosa e sboccata (Kate Winslet) – servendosi di un registro insolito, quello del musical allegro e surreale, per mescolare commedia e dramma.

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I numeri coreografici e canori irrompono sullo schermo senza soluzione di continuità e sfruttano l’ambiente reale per mettere in scena trovate ingegnose e stravaganti. Tra i più divertenti, l’esordio in scena della rossa “infuocata” Winslet, con tanto di pompieri che vengono in suo soccorso e il racconto a suon di musica del personaggio interpretato da Christopher Walken, un inguaribile fan di Elvis ossessionato dall’universo femminile. “Romance & Cigarettes” è ben costruito: un film sull’amore e sulle molteplici forme bizzarre con cui può essere espresso, che cita direttamente Charles Bukowski e si crogiola nella rievocazione nostalgica dell’America anni Cinquanta e della comunità italoamericana; che si affida a grandi classici (Presley, Joplin, Springsteen, Brown) e può contare su un cast solido e variegato in grado di reggere anche le performance canore. E tuttavia resta il dubbio che quello di Turturro sia un film “furbo”, confezionato apposta per il pubblico festivaliero – tanto che ebbe un successo strepitoso alla scorsa Biennale di Venezia –, in grado di osare (la scena di sesso e il turpiloquio della sorprendente Kate Winslet), ma solo fino a un certo punto; originale, eppure troppo vincolato al modello di riferimento Coeniano.

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