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"Scenografie simulate", alla Vucciria uno spaccato di Spagna

  • 31 luglio 2006

Per l’inaugurazione della nuova sede palermitana dell’Istituto Cervantes, la chiesa di S. Eulalia dei Catalani alla Vucciria si adatta a spazio espositivo ospitando fino al 30 settembre la collettiva "Scenografie Simulate", a cura di Rufo Criado, che raccoglie diciassette sculture provenienti dalla collezione permanente del CAB (Centro d’arte contemporanea della Caja de Burgos), le quali offrono uno spaccato della produzione artistica spagnola dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso fino al 2002.

La chiesa, finalmente restaurata e adattata alle esigenze del Centro Culturale, testimonia, del resto, sin dal nome, i secolari rapporti tra Palermo e la dominazione spagnola, e per una felice scelta politica si candida ad essere per il futuro luogo d’incontro e confronto tra due culture tanto affini, ma diverse negli esiti formali. La sua forte connotazione architettonica diventa in tal modo scrigno e scenografia potente che sa interagire in modo eccezionale con opere d’arte della contemporaneità, esaltandone le valenze estetiche.

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Il percorso espositivo si articola idealmente a partire dal dipinto materico di Miquel Barcelò "Bibliotèque avec bougie" – unica opera bidimensionale in mostra, che cerca un continuum con la mostra dello stesso artista realizzata in questi locali nel 1988 – ma ha come fulcro visivo ed espositivo l’opera "Hermanas españolas", due grandi figure allegoriche di una femminilità ostentata realizzate con forte carica ironica e seduttiva da Victoria Civera, snodandosi successivamente in un percorso che cerca di sfruttare al meglio i vuoti e i pieni dell’architettura.

Tra le opere in mostra alcune appaiono dotate di un certo bagaglio formalista, con registri ed intensità ben differenziate, come "Eix" di Sergi Aguilar o la grande struttura in ferro di Susana Solano, "Depòsit D’Ombra n°13", che invadono con prepotenza e essenzialità di impianto il transetto della chiesa. In altre, invece, ha ancora il sopravvento l’iconografia umana che si manifesta in molteplici ed inquietanti maniere, come nel caso della teca di Juan Muñoz, di "Peregrina I" di Francisco Leiro o del deforme e terrifico bebè di Enrique Marty.

L’impianto fortemente scenografico appare inoltre evidente e riuscito nell’accostamento di due opere sull’altare principale: "Hard Boiler" di Walter Martin y Paloma Muñoz che sembra quasi essere un tutt’uno con la scia di sabbia che fuoriesce dalla valigia in ferro di Eva Lootz. È questo il caso migliore di interazione tra le opere che per il resto sembrano soffrire un po’ di accostamenti visivi che ne impediscono una nitida lettura.

Da segnalare, infine, il lavoro di Nacho Criado, "Si elegis… si excluis", che tratta in modo concettuale e suggestivo un oggetto quotidiano come una scala in legno, resa inutilizzabile dalla sottrazione di alcuni pioli, e il totem-poema Hotel Paris di Jaume Plensa che coinvolge lo spettatore sin dal suo ingresso in un’atmosfera fluida e accattivante.

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