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"Shangai Dreams", il dolore della Cina in un conflitto generazionale

  • 20 febbraio 2006

SHANGHAI DREAMS
Cina, 2005
Di: Wang Xiaoshuai
Con: Gao Yuanyuan, Yan Anlian, Wang Xueyang, Xiao Gen, Li Bin

Wang Xiaoshuai è uno di quei registi cinesi della Sesta Generazione che è riuscito a dare un notevole contributo, con i suoi film, alla cinematografia asiatica contemporanea. E’ nato a Shanghai nel 1966, si è diplomato alla Scuola di Cinema di Pechino e nel 1993 ha debuttato con il suo primo lungometraggio intitolato “The days”. Xiaoshuai non ha avuto una vita facile per colpa delle autorità governative del suo paese. Non si è arreso, però, e ha continuato a girare delle pellicole. Autore di ben otto film, il nostro ha vinto il Gran Premio della Giuria nel 2001 con il bellissimo “Le biciclette di Pechino”, film che fa venire in mente, non solo per coincidenze di trama, “Ladri di biciclette” di De Sica. La censura cinese si è spesso scagliata contro le opere di Xiaoshuai per il loro realismo tagliente che rimanda una visione polemicamente disincantata della Cina. Quest’anno, il giovane autore era presente in concorso a Cannes con il suo ultimo “Shanghai dreams”, che si è portato a casa il premio della giuria. Alcuni cenni storici sono obbligatori per introdurre la trama del film: la Cina degli anni sessanta, quella sotto il governo comunista di Mao Tse-tung, dovette ricorrere all’aiuto economico della Russia che, dopo la seconda guerra mondiale, continuò a produrre in quel territorio innescando svariate controversie ideologiche sia sul fronte interno della Cina che a livello internazionale. Per la costante paura di un’invasione sovietica, la Cina provvide ad operare dei trasferimenti di masse di lavoratori nelle sue zone interne, gestendo un’autoctona politica di sviluppo. Shanghai diviene il crocevia di questo nodo politico- economico.

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La vicenda del film si svolge negli anni ottanta, in una regione di montagna di Guizhou e racconta di Quing Hong (Gao Yuanyuan), una sensibile ragazza di diciannove anni che ha un’amica di nome Xiao Zhen (Wang Xueyang) con la quale condivide il proprio tempo libero. Le due partecipano ad alcune feste in barba ai genitori. Il padre di Quing Hong si chiama Wu Zemin (Yan Anlian) ed è un operaio della fabbrica del luogo, un uomo inflessibile fino alla nausea, capace di perseguitare la figlia tenendola reclusa. L’unico pensiero dell’uomo è quello di trasferirsi a Shanghai per dare un futuro migliore alla sua famiglia. Quing non è d’accordo con le idee di cambiamento del padre, non vuole distaccarsi dal luogo in cui è nata. Perdipiù un giovane operaio, Xiao Gen (Li Bin), la corteggia timidamente regalandole delle scarpe col tacco che il burbero padre butterà via, considerandole un esempio di perdizione. La vita di Quing prosegue in questo clima asfissiante, e a nulla vale la presa di posizione della madre che prova a difendere la fanciulla dalle ire del genitore – padrone. Ad un certo punto, il dramma sembra inevitabile.

Possiamo considerare “Shanghai dreams” un melò sul contrasto generazionale, metafora di mutamento epocale osteggiato dalla resistenza ottusa dei vecchi che si oppongono ai giovani. La figura di Wu Zemin, padre egoista e conservatore, incarna i valori marciti di una Cina tradizionalista, legata al suo passato dittatoriale e censorio, una Cina ripiegata su se stessa, capace di provvedere al proprio sviluppo ma incapace di guardare al progresso: la Cina di un passato destinato a sparire per lasciare posto alle nuove frontiere economiche e sociali di oggi, alla Cina contemporanea trasformatasi in uno dei grandi paesi proiettati nel futuro. Un film duro e aspro, questo di Xiaoshuai, che in qualche passaggio cede al facile manierismo (come nelle sequenze di Quing alle prese con le sue nuove scarpe, che prova salendo cento scalini, oppure in quelle del festa del debutto trasgressivo dell’insistente corteggiamento di Xiao Gen). Nella seconda parte, quando emergono i foschi chiarori della violenza familiare, la regia di Xiaoshuai si fa più attenta ed indagatrice, vicina per sensibilità al piglio tagliente ed asciutto dei film di Hou Hsiao-hsien. Nel complesso, “Shanghai dreams” risulta meno compatto ed incisivo de “Le biciclette di Pechino” ma ugualmente meritevole d’attenzione. E il finale, nel ricordare il mitico “Furore” del maestro di tutti John Ford, ci rimanda il sapore di un cinema solido ed affabulatorio, quello dei classici, piccoli e grandi, di cui sentiamo troppo spesso la mancanza.

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