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“Sin City”: più fumetto animato che film

  • 14 giugno 2005

Sin City
U.S.A. 2005
Di Frank Miller e Robert Rodriquez (Quentin Tarantino “special guest director”)
Con Bruce Willis, Jessica Alba, Clive Owen, Mickey Rourke, Brittany Murphy, Rosario Dawson, Elijah Wood, Benicio Del Toro, Jaime King, Devon Aoki, Rutger Hauer

Per giudicare “Sin City” bisogna tenere presente che non si tratta di un film, ma di un fumetto filmato con la macchina da presa e animato sullo schermo. Robert Rodriquez si è forse lasciato trascinare dalle pressioni di Frank Miller (che è accreditato come co-regista, ma cui si deve con ogni probabilità il 90% di quello che vediamo), restio a sottoporre la sua graphic novel a qualunque cambiamento, non solo del plot, ma di tutto l’impianto estetico, stilistico e linguistico. Si è preferito piuttosto aggirare l’ostacolo dell’adattamento ricorrendo alla soluzione più ovvia e (ormai che la tecnologia non ha limiti) più semplice: trasporre letteralmente il testo originale con una precisione ai limiti della cavillosità. Rodriquez rinuncia non solo al suo stile, ma alla morfologia e al linguaggio del cinema per abbracciare in toto quello dell’arte sequenziale: ogni inquadratura è una riproduzione fedele al cento per cento della vignetta originale da cui deriva, per plasticità, luminosità, colore (bianco e nero, con qualche punta cromatica, come nelle pagine di Miller). Questo per quanto riguarda la componente “graphic”. Quella “novel”, invece, si esaurisce in un’alternanza tra la trasposizione letterale dei dialoghi dei personaggi e la presenza di un’ossessiva (e molte volte pleonastica) voce fuori campo, vale a dire della forma di racconto meno cinematografica per eccellenza. Perfino lo stile recitativo è improntato sulla mimesi (anche fisica) dei loro corrispettivi su carta e, a dire il vero, tutti i membri del faraonico cast svolgono egregiamente tale compito (in particolare l’enorme Mickey Rourke e le attrici, tutte sbalorditive quanto a carica erotica).

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A questo punto non era meglio leggersi direttamente il fumetto? La domanda è provocatoria ma non poi tanto: se giudichiamo priva d’interesse una trasposizione letteraria o teatrale perché non rielabora il soggetto in funzione della specificità cinematografica, non dovremmo coerentemente pensarla allo stesso modo quando si parla di graphic novel? Lo sperimentalismo, pur presente sottoforma di stilizzazione della scenografia e di giochi luministici con inevitabili rimandi all’espressionismo e al noir anni ‘40, non si spinge alla ricerca di nuove forme espressive, ma piuttosto si accontenta di prendere in prestito quelle di un’arte diversa. Queste e molte altre riflessioni inspira “Sin City”, per certi versi un vero e proprio film-manifesto, che vorrebbe gettare linee guida sul futuro utilizzo delle tecniche digitali (tutte le sequenze sono state realizzate con la tecnica del “set virtuale”, che comunque non è certo nuovissima) e con cui dovranno fare i conti le future trasposizioni da fumetto e non solo. Ciò non toglie che, proprio per la materia da cui proviene, “Sin City” sia un’esperienza affascinante: sordida e iperrealista discesa nei recessi delle più profonde abiezioni umane, paradigma di una società corrotta fino al midollo (soprattutto le alte sfere della politica e della Chiesa) e dedita ad ogni abominevole violenza, voragine in cui anche gli ultimi residui di umanità sono destinati a svanire tra le ombre della notte.

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