MUSICA

HomeNewsCulturaMusica

Subsonica, suoni “terrestri” in territori pop rock

  • 3 ottobre 2005

Una carriera fulminante, da “next big thing” dell'underground italiano a band di grande successo commerciale. Giunti alla pubblicazione del loro quarto album, “Terrestre”, i Subsonica sono ora in tour per promuovere la loro esplosiva miscela dal vivo. In occasione della tappa palermitana (sabato 8 ottobre al Palasport, biglietto 16 euro in prevendita a Palermo al Box Office di Ricordi, Ellepì, Master e Dischery), Balarm.it ha intervistato Max Casacci, che ha subito tracciato un bilancio dei primi sette anni della band.

«Una volta trovata un'etichetta discografica e realizzato un primo album, l’omonimo “Subsonica”, ci siamo dati da fare per suonare il più possibile dal vivo. La mia precedente esperienza di sette anni con gli Africa Unite, che aveva accompagnato la crescita del gruppo reggae dai primi piccoli passi, fino a diventare una delle più importanti live band del mondo indipendente, mi aveva fatto capire molto sul mondo dei concerti. Ci siamo quindi mossi in quella direzione disinteressandoci completamente delle vendite dei cd. Siamo arrivati anche a discutere con la Mescal, che avrebbe voluto alzare il prezzo delle nostre prime esibizioni, per mantenere i costi molto bassi. Abbiamo quindi iniziato a suonare ovunque per più di un anno, di fronte ad un pubblico scarso che aumentava man mano che il passaparola ci segnalava come una delle realtà più originali in circolazione. Un giorno, quasi per caso, sostituendo all'ultimo momento un’altra band, siamo saliti sul palco del primo “Mtv Day”, assieme a band già affermate come Afterhours e 99 Posse. La nostra esibizione colpì molto la direzione inglese, che suggerì agli italiani di mandare in onda i nostri video. In realtà non ne avevamo nemmeno uno. La Mescal si decise a farci girare il primo, “Istantanee”. Ne seguì un secondo autoprodotto da noi. Alla fine dei primi due anni avevamo suonato qualcosa come duecento e passa concerti tra locali e centri sociali».

Adv
«Uscì quindi “Microchip emozionale” – continua Casacci - riscuotendo in pochi mesi l'attenzione che il primo album aveva impiegato più di due anni a suscitare. Partì immediatamente un giro di concerti, più strutturato come mezzi e come scelta dei luoghi: locali e centri sociali, ma non più situazioni improvvisate. Le recensioni furono ottime, ma era evidente che la stampa non specializzata si mostrava pigra nei confronti di una realtà giudicata troppo underground. Ci facevano grandi complimenti, ma l'attenzione era riservata a band (altrettanto underground) con un contratto discografico che permetteva loro di avere spazi televisivi, spot e costosi uffici stampa. La soluzione venne portata dal caso. Giunse l’invito, a tutt’oggi inspiegabile, per partecipare alle selezioni di Sanremo, tra i big. Avevamo già in passato rifiutato i vari Sanremo Giovani o Sanremo rock. Rifiutammo inizialmente, molto divertiti, anche l'invito più ufficiale. Poi riflettemmo sul fatto che una semplice partecipazione, senza costi da sostenere, in quella situazione avrebbe finalmente sbloccato giornali, radio e tv. Decidemmo che, nel caso fosse venuto fuori un brano di carattere, avremmo partecipato. Il resto è piuttosto noto. Salimmo e scendemmo da quel palco illesi e riprendemmo a suonare. La settimana successiva il Leoncavallo di Milano segnalava uno dei più storici tutto esaurito paragonabile solo al precedente concerto dei Public Enemy».

Pur confermando la “tradizione” di non fare mai un album uguale all'altro, vi siete sempre mossi lungo un percorso di continuità. “Terrestre” però si dirige verso territori più pop-rock dei predecessori. Una scelta totalmente vostra o avete seguito qualche indicazione dalla nuova casa discografica?
«La Emi non ha nemmeno ascoltato i provini. Il contratto stipulato prevede la totale libertà artistica e la completa gestione del budget. Paradossalmente, per quanto riguarda la direzione più elettrica, ha probabilmente influenzato di più la storia durata un paio di anni tra Samuel e Roberta, la bassista dei Verdena. È stato Samuel a proporre da subito alcuni spunti chitarristici. In realtà l’approccio a “Terrestre” è arrivato dopo due anni di pausa, trascorsi in singole occupazioni che avevano a che fare sovente con la musica elettronica o, nel mio caso, con la produzione in studio di band come i Modena City Ramblers. Rimettendo in piedi il gruppo, abbiamo sentito l'esigenza di partire da subito con gli strumenti alla mano. Lasciati spenti i software abbiamo cercato uno spazio per chitarre, ampli, vecchie tastiere analogiche e abbiamo suonato molto più che in passato. E' nato così “Terrestre”, con il suo impatto, suoi spazi strumentali che sembrano provenire talvolta da vecchi vinili progressive. Non è un'inversione a U, ma un semplice “upgrade”. Il prossimo album potrebbe essere di elettronica pura, per quanto ne sappiamo».

A volte capita che le band implodano sotto lo stress di una convivenza continua che spesso, alla lunga, provoca tensioni. I vostri progetti solisti rappresentano un modo per “riposarsi” dalle attività del gruppo o solo per coltivare altri interessi personali? Che altri progetti avete in cantiere?
«Coltivare interessi personali e riposarsi da una convivenza necessariamente molto stretta sono due aspetti simili. Credo che alcuni equivoci creati in passato dalle duplici attività siano definitivamente superati. In cantiere abbiamo un giro in alcuni importanti festival europei, e la realizzazione di brani strumentali, sperimentazioni sonore intrecciate ad esperimenti legati al mondo visivo. Ancora non sappiamo in che forma verranno proposti ma sappiamo che sorprenderanno solo chi non ci conosce bene. Il mondo Subsonica ha sempre avuto questa esigenza espressiva sotterranea».

Max, la tua militanza nel panorama musicale italiano è ormai piuttosto lunga. Cosa ricordi con più piacere dei tuoi esordi, e in che modo si è evoluta dal tuo punto di vista la scena indipendente italiana?
«I miei esordi sono stati molteplici. La new wave prima, il reggae dub poi, fino al mondo della produzione in studio. Mi appassiona sempre la magia che si respira accanto ad un progetto musicale che prende forma. Per questo seguo l'evoluzione di Casasonica, divenuta un’etichetta indipendente a sua volta. I Sikitikis, i Cinemavolta, sono gruppi che muovono con grande emozione e determinazione i loro primi passi. Ecco, forse quello che ricordo più con piacere è proprio lo spirito, difficile da raccontare, che si condivide nella prima fase di un’avventura musicale. La scena italiana ha avuto negli anni Novanta una vetta. Una generazione di musicisti ha cercato e ottenuto il confronto, tirando fuori la testa dalla sabbia e abbattendo molti paraventi. L'atteggiamento aristocratico di chi non mostra di sporcarsi mai le dita è stato coraggiosamente spazzato via da gente come Casino Royale, Almamegretta, Africa Unite, Mau Mau, 99 posse, Afterhours, Marlene Kuntz e molte altre band che verranno ricordate, a differenza di coloro che hanno preferito il conforto del limbo, la condizione nella quale nulla diventa oggettivo, non esistono sconfitte, non esiste nessun giudizio perché tutto dipenderebbe solo dalla materia astratta del vendersi, dell’avere i giusti agganci, del “tutto è una mafia”, del “tanto si sa com’è”, “sempre la stessa storia”. In ogni caso al momento la scena italiana è piena di talento, vediamo molti gruppi che comprensibilmente si rivolgono all'estero e abbandonano la lingua italiana e forse questo è un peccato. Ma rispetto al passato vediamo un numero maggiore di band in grado di stare sul palco in modo più che convincente. Forse tutto ciò che gravita intorno alla scena indipendente torna a soffrire di atteggiamenti e liturgie che credevamo scomparse».

Ho potuto seguire la polemica che ha visto contrapposti i Subsonica e altri gruppi italiani a una famosa rivista di settore sul tema della “coerenza” (a proposito dell'ormai nota compilation per Tutto). Come si concilia l'impegno che portate avanti da sempre su certi temi con certe scelte di tipo, per così dire, editoriale?
«Siamo stati contrapposti al direttore di una rivista più interessato ad accendere la miccia su una rubrica del suo settimanale che a fare informazione, e ad alcuni suoi sodali. Tra questi, un cantautore che utilizza il nome di una band che band evidentemente non lo è più da tempo. Dico questo perché ammiro invece molto i collettivi, i gruppi che restano tali nel tempo, che mostrano le palle per affrontare ciò che un collettivo deve nel tempo saper affrontare e che per questo tende istintivamente a mostrare più rispetto e più onestà nelle valutazioni. In tutta quella mediocre polemica è stata proprio l’onestà l’elemento mancante. Tanto per farti capire, siamo stati addirittura plagiati nelle nostre dichiarazioni. Frasi storpiate ad arte e poi pubblicate, diritto di replica negato, comunicazioni private finite in stampa. Insomma, chi davvero è interessato ad aprire un confronto non ricorre a queste bambinate. Per quanto riguarda le case editrici, vedere attaccati dall’accolita di cui sopra scrittori che apprezziamo molto (come i Wu-ming) solo perché pubblicano per Einaudi, fa davvero pensare più ad un attacco incontrollato di frustrazione, che a qualcosa della quale valga veramente la pena discutere. Le pernacchiette e gli insulti gratuiti che hanno poi condito questa crociata fasulla, ci dicono molto su quanto abbia senso stare ancora qui a perderci tempo. Per quanto riguarda la compilation di Tutto, abbiamo scritto e ribattuto a sufficienza le nostre considerazioni».

Sempre su questo tema, avete avuto problemi nel vostro ambiente dopo il passaggio a una major? Oppure, salvo qualche eccezione, certi integralismi dopo gli anni Novanta vanno sempre più scomparendo? Considerate l'obiezione che più spesso viene fatta in questi casi: l'aumento di visibilità di solito coincide con una minore qualità dei dischi. Che ne pensate?
«Noi abbiamo interrotto il rapporto con Valerio Soave (produttore di “Amorematico”, NdI) nel momento in cui lo stesso sembrava più intenzionato a trasformarci in un proprio giocattolo che altro. Quindi la scelta è stata quella di spezzare il legame che ci vedeva controllati dalla medesima entità sotto il profilo manageriale, discografico, editoriale e live. Abbiamo deciso di autogestire il più possibile le attività (live-edizioni-management-comunicazione) e di usare un referente esterno solo per la discografia. L’eccessivo peso dato al cambio di discografica è frutto di una valutazione piuttosto passatista. Il valore dell'oggetto disco è sempre più relativo».

Recentemente diverse reti peer to peer sono state chiuse, e molti client di file sharing, se riapriranno, lo faranno a pagamento. Aldilà dell'annosa questione del download illegale, cosa pensate di questa soluzione? Rimedi così drastici potrebbero riverlarsi peggiori del male, ad esempio limitando lo scambio di informazioni legali e dunque la libera circolazione delle idee? Oppure è l’unico modo per arginare il fenomeno del file sharing illegale?
«Non siamo mai stati contrari al file sharing, né tanto meno alla libera duplicazione dei supporti. Condanniamo solo la pirateria, che finisce odiosamente per legare la musica ad introiti quasi sempre nelle mani di organizzazioni criminali».

Ci sono gruppi o artisti italiani che attirano particolarmente la vostra attenzione per ora, soprattutto tra quelli emergenti?
«Offlaga disco pax, Super elastic bubble plastic, Hormonauts, Disco Drive, Marta sui tubi e tanti altri, oltre a Cinemavolta e Sikitikis. Questi ultimi hanno maturato un'esperienza di palco, bene esibita nella apertura di alcuni nostri concerti, che presumibilmente li porterà ad essere una realtà importante nell'arco di breve tempo».

Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
Cliccando su "Iscriviti" confermo di aver preso visione dell'informativa sul trattamento dei dati.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI