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The last concert: intervista Urania

Tra i gli affranti congiunti l’unico che sembra avere elaborato meglio il lutto è uno dei due chitarristi, il simpatico e baffuto Biccio

  • 11 gennaio 2004

Le singolari esequie degli Urania ci hanno lasciati tutti un po’ avviliti e con  qualche dubbio in più, visto che ad abbandonarci, sabato 10 gennaio al Laboratorio Zeta di Palermo è stata una band nel pieno della sua vicenda artistica e, come si dice,  nel fiore degli anni. Tra i gli affranti congiunti l’unico che sembra avere elaborato meglio il lutto è uno dei due chitarristi, il simpatico e baffuto Biccio, che ci è parso, anche per nostra consolazione, molto propenso ad aprirsi e raccontarci le cause di questa di disgrazia. 

Il trapasso a  miglior vita di questa giovane seppur promettente formazione ci lascia nel più cupo sconforto. Nel porgerti le nostre più sentite condoglianze, vorresti dirci come e quando vi siete accorti dell’imminente tragedia, e se ne hai le forze, d’illuminarci sulle cause?
«Dopo l’ultimo concerto estivo, tenutosi a Sampieri (Ragusa), ci siamo concessi una meritata pausa, ma  al ritorno, durante un briefing sui futuri impegni della band sia io che Monterosso abbiamo esposto le nostre perplessità, che erano soprattutto incentrate sull’incompatibilità tra i progetti personali e l’impegno musicale, demotivando così  J.Petrus e Spadino e portando conseguentemente il gruppo  verso l’agonia».

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Si è soliti dire che  i cari estinti continuino a vivere nella nostra memoria, vorresti raccontarci le gioie di quest’esperienza vissuta insieme alla band?
«Tutto incominciò da una telefonata di Mr.Silvestri a casa Bonnekamp, che informò J.Petrus dell’avvenuta incoronazione della nostra demo come “Demo del mese” sul mensile Rumore, a firma dell’incontentabile quanto corrosivo Zombie Kid: eravamo tanto entusiasti che corremmo a comporre altri pezzi, anche perché  la nostra concittadina Jazzman Records si offrì di produrci il disco, come infatti avvenne pochi mesi dopo. Il cd “Fun after midnight” andò  presto esaurito e fu recensito da molte riviste di settore, permettendoci così di accedere alla ribalta italiana anche grazie al sito di musica surf www.SurferJoe.it che ci organizzò le date a Milano, Genova e Marina di Massa, ci trovammo coinvolti in una serie interminabile di date che attirarono parecchi consensi di pubblico, anche fuori dalla Sicilia».

“Ringraziamo l’Alitalia per aver reso Punta Raisi il centro nevralgico del Mediterraneo”, ”Biccius, il rossiccius più biccius del mondo ci proporrà un pezzo spaccadita”: le presentazioni dei brani fatte da Monterosso saranno per anni oggetto di studio quanto di nostalgiche risate, ma erano in realtà premeditate o il parto di un dadaista genialoide?
«La domanda c’è stata posta numerose volte, ma l’unica risposta è che sono frutto dell’estroversione latente del Monterosso, ispirato da elisir inebrianti, meritatamente ritenuto l’incedibile punta di diamante del gruppo».

La vostra musica era conosciuta da gran parte del popolo palermitano solo come: “quella di Pulp Fiction”, ritieni di aver portato avanti un’opera d’erudizione verso un genere che vanta una propria storia e  un’indubbia dignità artistica?
«Sicuramente a fare da apripista al surf  qui a Palermo sono stati i Don Santos, gruppo da me adorato che vantava come musicisti Rodan Di Maria, Giampiero Di Stefano e il Reverendo J.J.Leto, che però  a mio avviso hanno voluto mantenersi in un circuito “intimo” d’appassionati, mentre il nostro progetto è stato quello di divulgare il surf anche tra i frequentatori di realtà lontane da quella indipendente dei piccoli locali,squat e centri sociali. In fin dei conti pensiamo di essere riusciti nello scopo, perché ad esempio il  surf è spesso nelle scalette dei locali palermitani non particolarmente indie e conosciuto anche fuori dalla schiera dei suoi cultori storici».

Permettimi una domanda retorica: quanto ha influito l’essere palermitani nella vostra vicenda artistica? Pensi anche tu che sebbene vi sia una grande ed eterogenea proposta musicale, supportata da un pubblico abbastanza ricettivo, si corra il rischio di rimanere, più o meno letteralmente, dentro i confini dell’isola?
«Per quanto riguarda la nostra esperienza, l’uscire dall’isola ha comportato degli oneri (organizzativi ed economici) sconosciuti alle band “d’oltrestretto”; tuttavia provenendo da una scena musicale indipendente che negli anni si è fatta conoscere in tutta Italia, abbiamo trovato canali favorevoli che ci hanno garantito contatti con le altre realtà nazionali, sia per le date che per la distribuzione del disco. Inoltre lo sbattimento del nostro produttore Marcello Hamel che ha permesso di farci conoscere, per vie postali e telematiche, ad ogni singola realtà surf della Penisola».

Per dovere di cronaca devo informarti che nell’ambiente voci tendenziose e maligne sostengono che il trapasso degli Urania sia in realtà una squallida trovata di marketing pensata a tavolino: le solite malelingue… o corriamo il rischio di una vostra futura reunion dove incanutiti e col panzonello ci proporrete l’ennesimo “Best of “ con incluso il solito singolo ruffiano a fare da traino?
«Smentisco categoricamente: sono solo fandonie! Come tutti hanno potuto vedere al Laboratorio Zeta, la salma è stata materialmente tumulata, cosa dire ancora? Del futuro non v’è certezza, chi vuol esser lieto, lieto sia…» (sgorgano copiose le lacrime NdR).

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