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Una fotografia del giornalismo che fu

  • 13 novembre 2006

Un’aria che non respiriamo più oggi, quando sfogliamo le pagine di un giornale. L’aria delle notizie, del come si cercano e soprattutto del come si scrivono, insomma una fotografia sul giornalismo che fu. Tutto questo c’è in “Nostra Signora della Necessità” (edizioni Einaudi Stile Libero, pag. 107, 9 euro), romanzo del giornalista siciliano Giuseppe Sottile, oggi collaboratore del supplemento culturale del Foglio ma un tempo “biondino” e collaboratore de L’Ora, oltre a essere stato nel corso degli anni direttore del Giornale di Sicilia.

Un “romanzino”, così lo ha chiamato l’autore che ha il doppio merito di raccontarci due realtà parallele: da una parte il microuniverso giornalistico de L’Ora di Vittorio Nisticò, che a Palermo certamente rivoluzionò il modo di fare informazione, dall’altro la Palermo degli anni sessanta e settanta con la presenza consolidata e stratificata della mafia nel tessuto sociale. La scelta letteraria del romanzo diventa un angolo privilegiato di osservazione di un periodo storico sociale della città, in cui si incontravano e scontravano i diversi poteri tra cui anche quello dei giornali.
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«Ho voluto fare un’operazione di verità. Per questo mi sono affidato alla verità del romanzo che mi ha dato la possibilità di scrivere con libertà». Così ha detto l’autore nel corso di un’intervista a margine della presentazione del libro tenutasi allo Steri. Il romanzo si fa leggere piacevolmente sia dal pubblico adulto, che in parte questi eventi li ha vissuti, sia dai giovani che del tutto sconoscono il clima di fermento e di cambiamenti di quegli anni. L’autore sceglie il genere del noir, del giallo che ruota attorno a una storia di corruzione di intrighi mafiosi e i suoi protagonisti principali sono un avvocato e un magistrato. In questo plot si intreccia e diventa di grande importanza lo sfondo autobiografico: lo scrittore ci racconta del suo ingresso al giornale L’Ora a fianco di un autore di scritti teatrali come Salvo Licata. C’è anche Vittorio Nisticò, con il suo modo di dirigere il quotidiano del pomeriggio e la sua volontà di attirare la borghesia attorno all’universo dei lettori.

Un giornale che in un certo senso era un contraltare perché si collocava in un segmento diverso dai binari tradizionali: un momento di approfondimento, di inchiesta proprio perché inquadrato nella fascia pomeridiana. Ma anche un quotidiano che si distingueva per la scelta delle immagini forti, diverse dalla conformità imperante. Importanti anche le scelte linguistiche che sono del tutto antiretoriche, leggere e ironiche nel medesimo tempo. Un giornalismo che purtroppo non esiste più oggi, dove i giornali sembrano tutti uguali, dove non si comprende cosa sia notizia e quali siano i suoi confini. Un’informazione, quella di ieri, che raccontava la “verità” senza avere troppa presunzione, quella stessa presunzione che ha svilito e al tempo stesso fatto perdere l’essenza stessa del mestiere.
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