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Van Helsing o Carletto il principe dei mostri?

Chi si aspettava un horror, si pentirà di essere entrato al cinema. Chi si aspettava una pseudocommedia cinica in stile “La Mummia” (visto il regista), rimarrà deluso

  • 30 maggio 2004

Van Helsing
USA 2004
Di Stephen Sommers
Con Hugh Jackman, Kate Beckinsale, Richard Roxburgh, David Wenham, Will Kemp, Shuler Hensley

Fine Ottocento, il leggendario cacciatore di mostri (inventato da Stoker) Van Helsing (Hugh Jackman), dopo aver ucciso Mister Hyde (!?) viene invitato a recarsi in un lontano e pericoloso paese dell'Europa orientale allo scopo di sconfiggere il male. Ad attenderlo un Dracula in versione Renato Zero (Richard Roxburgh), un Frankenstein che (vista la mole) ha fatto un uso eccessivo di Tesmed, l'immancabile Igor (che purtroppo non si pronuncia “Aigor”), l’uomo Lupo, tante vampiresse ed un esercito di diabolici “unpalumpa” di willywonkesca memoria. No. Non è una puntata speciale del celebre cartone animato giapponese “Carletto il principe dei mostri”, è solo il nuovo inutile polpettone hollywoodiano per un pubblico di adolescenti in vena di videogiochi cool. Ma andiamo con ordine: dopo una breve presentazione del protagonista veniamo catapultati nelle segrete del Vaticano dove tutte le religioni del mondo sono unite per combattere il male (per favore non ridete). Ed ecco che giunge l’immancabile fase comunemente detta “dell’armamento dell'eroe” in puro stile 007 e la conseguente conoscenza del fraticello Carl. Una razza particolare di frate a metà strada tra l’Adson de “Il Nome della Rosa” e l’M di “James Bond”. Ma non finisce qui.

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Ad aspettare Van Helsing in draculandia c’è Anna (Kate Beckinsale), una prosperosa eroina dalle forme perfette che ci preannunciano una improbabile quanto scontata storia d’amore tra i due protagonisti coronata da geniali dialoghi che, a detta del nipotino che non ho, sembrano fatti col Grillo Parlante Clementoni che formula frasi random. Quando la trama si infittisce e il delicato incastro di pezzi sembra diventare più complicato ecco che arriva il colpo di scena: Anna non ha mai visto il mare (!?). Ed è solo allora che lo spettatore, svegliato dai rumorosi effetti speciali, comincia a vedere nel mare il fulcro di tutto il film. Così, dopo una serie di citazioni (alias non so cosa fare e copio un Classico come Alien o Matrix) veniamo gettati in un buco nero di suspance e tensione che ci porta al cospetto della rivelazione più sconvolgente di tutto il film: Anna non ha mai visto il mare! Di nuovo? Sì, di nuovo. Quasi per ribadire l’importanza del mare. Il combattimento con Van Helsing vestito da Tarzan è un’offesa all’intelligenza di qualsiasi persona dotata di cervello, per non parlare del finale che, tra improponibili rivelazioni (come quella della discendenza hilanderiana del protagonista) e ridicoli rimandi ad un “Van Helsing 2” (che ovviamente consiglio calorosamente), arriva quando ormai lo spettatore non sta più fermo sulla poltroncina a causa delle troppe risate (N.B.: trattasi di umorismo involontario).

Ma anche alla fine resta nel cuore di tutti un lacerante dubbio amletico di incommensurabile valore catartico: riuscirà Anna a vedere il mare? Ma soprattutto: dove diamine sta andando Frankestein in una zattera mezza rotta? Lo scopriremo nella prossima puntata. Niente da dire sugli effetti speciali (senza dubbio ottimi), né sulle musiche (davvero belle). Anche le scenografie hanno un loro fascino, indubbiamente. Ma questo non basta a fare di questa mistura un film. Jackman, che in “X-Men” era un Wolverine più che accettabile, qui sfoggia per due ore la stessa espressione allibita. Chi si aspettava un horror, si pentirà di essere entrato al cinema. Chi si aspettava una pseudocommedia cinica in stile “La Mummia” (visto il regista), rimarrà deluso. Chi non si aspettava nulla, potrà dirsi soddisfatto. Perché dopo due ore di videogioco senza trama, quello che se ne caverà sarà proprio questo: nulla. Anzi, no, non è vero, qualche cosa se ne caverà: noia. La regia sembra cercare di ottenere atmosfere burtoniane, senza riuscirci minimamente, se non con le musiche e (in parte) con le scenografie. Ma l'uso a sproposito di effetti speciali, lo stravolgimento di romanzi che presi per conto loro sono magnifici (Bram Stoker, Mary Shelley e R. L. Stevenson si stanno rivoltando nella tomba), l'utilizzo di attori scadenti rendono vano ogni sforzo di questo Burton dei poveri.

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