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"Viva la libertà" di Roberto Andò: metafora in pellicola

Il regista palermitano Roberto Andò, con il suo ultimo film "Viva la libertà", adatta al grande schermo il romanzo "Il trono vuoto" per una metafora dell'oggi

  • 17 febbraio 2013

Come si racconta il tempo? Ma non un tempo qualunque, il presente, quello che ad oggi stiamo ancora vivendo. Come si fa luce sul buio atavico di cui il tempo stesso si circonda? Si potrebbe scrivere, recensire, raccontare. E sarebbe difficile arrivare a metter punto. Forse in modo più immediato si potrebbe far leva su un genere un po’ più trasversale, fruibile a tutti. Il cinema. Il cinema politico, quello che chiameremmo “d’impegno civile”, quello che diviene per un attimo cartina di tornasole del regista Roberto Andò. Con il suo nuovo film, “Viva la libertà”, adatta al grande schermo l’ultimo romanzo “Il trono vuoto”, per un apologo surreale del presente.

E risuona bizzarro, a tratti profetico - se per un attimo vestiamo i panni di autentici credenti di profezie - constatare che il film va in onda nelle sale italiane proprio nel giorno delle clamorose dimissioni di Papa Ratzinger. Senza trascurare l’aspetto, forse più rilevante, che si tratta di un film politico a pochi giorni dal fatidico election day. Potere temporale, potere politico, fantasia o allusioni? Forse. Un dato è certo però. Stiamo assistendo ad un evento storico dello Stato Pontificio e il film risuona un po’ come metafora in pellicola.

È lo stesso film a narrare la storia di un uomo di potere, il segretario del principale partito di opposizione, Enrico Oliveri - interpretato da uno straordinario Toni Servillo -, a sparire nel nulla, abbandonando la sua “poltrona rossa”, dopo aver riscontrato un vertiginoso calo nei consensi elettorali. Ma dimettersi dalla propria carica, non è un atto di sconfitta? In questi giorni più che mai, questa domanda risuona di un eco curioso, dal piglio indiscreto. Rigiriamo l’interrogativo proprio al regista.

Il suo personaggio in fondo, senza avvertire nessuno, men che meno il suo factotum, interpretato da Valerio Mastrandrea, fugge a Parigi da una vecchia fiamma, con cui condivise in gioventù l’amore per il cinema. «Il gesto di rinuncia è più contemporaneo che mai, riporta alla luce le debolezze come segno della più naturale condizione umana. La rinuncia al potere - prosegue Roberto Andò - può diventare un'operazione di risoluzione. Si riscoprono così gli “eroi della ritirata”, abili perché in una battaglia la ritirata è molto più difficile delle azioni di attacco».

Ed è proprio dal gesto di rinuncia che si intesse la trama del film. Da un lato Enrico Oliveri, leader del maggior partito d’opposizione, serio ed equilibrato, dall’altro lato Ernani, acronimo di fantasia del fratello gemello nascosto al mondo intero, filosofo folle ed intraprendente, che prende il suo posto per evitare lo scandalo. Ed è proprio la sua scheggia di follia che cattura l’elettorato. Una metafora dell’oggi che si cela dietro una lucida pazzia permeata di senso accademico. Quella lucida pazzia sinonimo di uno slancio vitale, quello slancio vitale che, forse, manca alla politica stessa e di cui Andò si fa portavoce, al di là dello schermo.

Una traslitterazione in fotogrammi del dibattito politico, una richiesta formulata attraverso un film che, più o meno, mette tutti d’accordo. «Alla politica serve riscoprire la stessa passione, la stessa follia, la stessa leggerezza - ci racconta Roberto Andò -. Credo che l’Italia sia pronta ad un politico che governi così». E proprio nel finale è racchiusa l’essenza del messaggio del regista. Un messaggio di speranza, lontano da una missiva catastrofista. Come un filo invisibile di leggerezza che si proietta ad un domani “poetico”. Quella stessa poetica che scandisce come virgole l’intero ordito narrativo.

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