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Nella misteriosa "pietra di Palermo" una verità tutta da decifrare: le prime dinastie egizie

Il misterioso documento storico si trova conservato all’interno del museo Salinas. Ci concentreremo sull’aspetto narrativo del testo, il contenuto che ci è stato tramandato secondo gli studi di Crombette

  • 23 novembre 2021

Pietra di Palermo: visione di dettaglio, implementata tramite RTI, con i 3 sotto-registri in cui è divisa ogni sezione del testo geroglifico (elaborazione grafica sulla base delle riprese RTI: M. Nuzzolo)

Fernand Crombette (Loos-lès-Lille il 24/9/1880, Froidmont (Belgio) il 13/11/1970) con i suoi approfonditi studi ci potrebbe aiutare a comprendere uno dei misteriosi documenti storici che, fortunatamente, si trova conservato all’interno del museo Salinas, ed esattamente la famosa “pietra di Palermo”,

La Pietra è il più grande di sette frammenti conservati tra il Museo Egizio del Cairo (cinque) e il Petrie Museum di Londra (un frammento), ed è come dicevamo, attualmente conservata al museo archeologico regionale di Palermo. Si tratta di una donazione fatta nel 1877 dell’avvocato Palermitano Ferdinando Gaudiano.

In quest'articolo ci concentreremo sull'aspetto narrativo del testo, cioè il contenuto che ci è stato tramandato secondo gli studi affascinanti di Crombette.

Il nostro studioso, per la traduzione del testo della pietra, inizia a studiare il metodo Champollion, come precisa il testo di Rodolphe Hertsens dal titolo “L'enigma della Pietra di Palermo” pubblicato in Belgio, per poi abbandonarlo e concentrarsi sul suo metodo personale del “rebus letto col copto antico monosillabico”.
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È da precisare che Fernand Crombette eseguiva studi da autodidatta, anche se molto preciso e metodico, dimostrando, studiando anche altre scritture antiche, che “tutte queste lingue avevano uno stesso fondamento e delle radici comuni”.

La pietra di Palermo è un frammento proveniente da una stele incisa da Menthouthès II, divenuto il solo signore dell'Egitto nel 1903 a.C., e che rappresenta l’insieme di una “tavola genealogica generale delle prime dinastie”.

In realtà un altro pezzo della stele oggetto di studio di Crombette si trova conservato al Cairo, unendo i due pezzi ed applicando il suo metodo di lettura egli dimostrò di poter decifrare la genealogia descritta che ci riserva molte ed interessanti sorprese. Ovviamente, questo è da sottolineare, questo tipo di traduzione è al vaglio degli studiosi, ma se confermato aprirebbe nuovi scenari interessanti sul mondo mediterraneo.

In sintesi il metodo Crombette diverge da quello dello studioso e padre dell’egittologia moderna Champollion sul fatto che quest’ultimo considerava la maggior parte dei geroglifici come una lettera e, quindi, trattò l'egiziano in modo grammaticale e non su altri aspetti come il “suono”.

Per farla breve ecco cosa scoprì Crombette durante i suoi studi sulle pietre della stele di Menthouthès II. Seguendo il lavoro di classificazione delle dinastie dell’egiziano Manéthon (nel terzo secolo a.C.), commissionato da Tolomeo I, Crombette si rese conto che mancavano delle famiglie poiché, come riporta mnella sua precedente opera “Se il Mondo sapesse...” : «In effetti, lo scriba poteva formare il nome del re per una scelta giudiziosa degli innumerevoli geroglifici esistenti, ma anche per le loro posizioni relative. Il nome del re si enunciava con la lettura rapida del rebus e calcando su certe lettere.

Il più sovente lo scriba si arrangiava per mantenere la maggior parte dei segni -come abbiamo già detto- ma ne rimpiazzava alcuni oppure ne disponeva diversamente i componenti.

Questo metodo permette delle letture multiple di uno stesso nome, pur raccontando i fatti "diversi" della vita, e menzionandovi anche le date. Alcuni faraoni possiedono fino a 30 o 40 iscrizioni, (leggermente ma talvolta nettamente) differenti. La maggior parte sono state riconosciute dagli egittologi a causa della loro composizione generale e di alcuni geroglifici tipici o gruppi di segni specifici, e non per la lettura! Ma molte altre non sono state individuate né riconosciute.

Così gli egittologi hanno creato di sana pianta dei nomi di faraoni che non sono mai esistiti ed hanno così falsato la storia dell'Egitto. Essi hanno anche, sovente, mal letto il nome esatto dei faraoni».

Facendo questa breve premessa c’è da notare che il frammento della stele di Palermo inizia con il primo re della IIIª dinastia e termina con i due primi re della IVª; il primo re della IIIª dinastia è Moncheiri che per il nostro studioso è Chasluim, il gigante (da cui discesero i filistei), figlio di Misraïm.

Questo nome è importante poiché Misraïm (probabilmente Menes) fu il fondatore dell’Egitto e regnò sui suoi sei figli (testi neo-babilonesi usano il termine Mizraim per identificare l'Egitto come è inciso sulla Porta di Ishtar di Babilonia); Crombette, nella sua opera “Libro dei Nomi dei Re d'Egitto”, ricorda brevemente che “uscendo dall'Arca, nel 2347 a.C., Noè e i suoi figli abitarono inizialmente ai piedi dell'Ararat sulle cui pendici la loro nave si era posata” e che le loro famiglie si diffusero sul territorio circostante: la Mesopotamia che suddivisero e tra questi vi era Misraïm, nipote di Noè.

Misraïm arrivò sul Nilo e divise il Delta in 7 reami: uno per lui e sei per i suoi figli raggiungendo il Medio e Alto Egitto e la Nubia. Nel 2145 a.C. Misraïm moriva, lasciando i suoi poteri al figlio Anamim (o Ménes) che si associò sua madre Maïa (o Meuhè). Nel 2133 a.C. Maïa moriva a sua volta e Anamim-Ménès diveniva il solo sovrano dei suoi fratelli creando le dinastie dette divine e semidivine.

Tra i personaggi menzionati ve ne sono due particolari: Cham, figlio di Noè, è il padre di Misraïm ed è il dio AMON e, come specificato sopra, Misraïm, il dio Re.

Quindi, secondo Crombette, vi potrebbe essere una soluzione affascinate (anche se da confermare) con un riscontro storico tra il libro della Genesi e la storia dell’Egitto preservato e gelosamente custodito da un tesoro unico al mondo, l’enigmatica Pietra di Palermo.
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