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Non esiste arrostuta senza il salmoriglio: la ricetta nata da uno "sfregio" tutto siciliano

In origine pare fosse una soluzione di acqua e sale per la conservazione degli alimenti e a portarlo in Sicilia furono gli spagnoli. Ma c'è anche un'altra storia

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 9 aprile 2024

Fin dal principio l’uomo ha sempre dato prova della sua evoluzione, da quando eravamo semplici pisciteddi i cannuzza, a quando uscimmo dall’acqua e ci evolvemmo.

Certo, forse la cosa non ha funzionato benissimo proprio con tutti, ma neppure l’evoluzione è perfetta.

In ogni caso tutti gli studiosi sono concordi nel dire che l’uomo iniziò la sua vera, embrionale, evoluzione sociale con la scoperta del fuoco, il quale gli consentì di camminare o' scuru, riscaldarsi, difendersi, ma soprattutto cominciare a fare le prime vere, primitive, arrustute.

Così, al pari della scoperta delle prime cure mediche verso un proprio simile, l’arrustuta divenne uno dei capisaldi della civiltà, fino a nostri giorni, soprattutto in Sicilia, dove l’inizio della primavera, soprattutto il giorno della Pasquetta, apre ufficialmente la stagione dell’attività sportiva della "garigghia estrema", alla quale sarebbe anche ora che Decathlon dedicasse un suo compartimento.
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I "mastrifucuni", per adempiere ai loro doveri e soddisfare gli adepti, cominciano ad organizzarsi con largo anticipo rispetto ai fatidici eventi, ed alla luce del fatto che ogni weekend di sole è potenzialmente una buona occasione pi arrustire, si tratta di un lavoro a tempo pieno.

Mastrufucune non ci si improvvisa, né lo si diventa da un giorno all’altro, ma tale onorifico titolo richiede un lungo ed arduo addestramento presso un mentore, il quale trasmetterà segreti, consigli e la personale scuola di pensiero al pari delle diverse scuole presenti nel modo post-apocalittico di Ken il guerriero.

Vi sono quelli contemporanei che utilizzano bricchette e ciminiere, i tradizionalisti che vogliono avere a che fare rigorosamente con la sola legna e anticchia di carta zuppa d’olio pi addumare, e gli innovatori che sapientemente utilizzano cotture dirette ed indirette per dare il meglio.

In ogni caso tutte le scuole sono d’accordo nello schifiare gli utlizzatori del BBQ a gas o elettrico, dato che se al termine di una arrustuta non hai quel tipico afrore di beccume un sì nuddu.

Ai bei tempi in cui ero ancora picciuttunazzo, le grigliate, con l’arrivo della bella stagione, erano all’ordine del giorno, ma leggendaria rimase quella che fu "LA grigliata": una tre giorni non stop di arrustuta che rimase scolpita nella memoria storica siciliana.

La location era il billino i campagna di Castellamare Del Golfo dei genitori di una ragazza del gruppo, ed il mastrofucune era il grande Arturo, anche detto “Artù con i lapardei della griglia rotonda”.

Arturo si recò personalmente dal chianchiere di zona, con il quale comunicava utilizzando unità di misura fatte da felle, mazzi, stecche e callozzi, e che il bottegaio capiva perfettamente in una sorta di linguaggio universale.

Arrivati al "billino" ispezionò la misera griglia mezza arrancirusa, e semplicemente posata su alcuni mattoni forati. Inarcò il sopracciglio destro ed esclamò "ma che è sta cosa?".

Ma lui non era tipo da arrendersi, e soprattutto amava le sfide.

In pochi e semplici gesti accese un bel fuocherello, spazzolò la griglia, ci passò sopra mezzo limone, e quando la giusta temperatura fu raggiunta, mise sopra mangiaebevi e stigghiola, giusto per raprere anticchia u pitittu.

In pochi istanti il fumo avvolse tutto il circondario facendolo assomigliare alla brughiera di Cornovaglia durante un rigido inverno.

Solo la voce di Arturo emerse ben distinta dalla nebbia: "Picciotti addumate i fendinebbia che oggi l’aria è composta al 20% di ossigeno e nel restante 70% invece dell’azoto c’è fumo i garigghia!".

Arturo, che frequentava la facoltà di fisica, aveva una cultura a 360 gradi, sia in campo scientifico che più terra terra. Era capace, mentre parlava di moto uniformemente accelerato ed altre amenità, di alternare metodiche di cottura e ricette, perché, come amava affermare, “è impossibile essere infelici mentre s’arruste a sasizza”.

Sua era la ricetta del miglior salmoriglio della Sicilia, e, nella sua vasta conoscenza, mentre lo preparava era capace di illustrartene la storia.

Il salmarigghiu pare debba le sue origini al latino “salsamentum”, ovvero una soluzione di semplice acqua e sale utilizzata per la conservazione degli alimenti, in parole povere la famosa salamoia.

Gli spagnoli, che utilizzavano moltissimo questo metodo di conservazione, in particolar modo in Andalusia, nel tempo trasformarono la soluzione in un piatto a sè stante, a base di olio, sale, aglio (che gli spagnoli mettono unneghhiè), aceto, pomodoro e pane raffermo, dandogli il nome di Salmorejo, portandola con loro, in terra trinacriale, tra il XVI ed il XVIII durante la dominazione iberica.

Ai siciliani tale zuppa non c’ attigghiò molto per cui la trasformarono in un condimento a base di olio, aglio, sale e succo di limone con cui condire gli alimenti e abbagnarici un pane in tempi di magra.

Da salmorejo a salamarigghio il passo è breve, e ci volle poco perché alla fine si italianizzasse in salmoriglio.

Tuttavia, la Sicilia è terra di storielle e leggende, più o meno vere, ed a noi piace troppo allattariarici proponendo alternative storiche.

Da veri esperti della metodica dell’arrusti e mancia, ovvero la grigliata in cui i commensali stanno in piedi dinanzi la griglia, non gli calò tanto che, durante la dominazione araba, sti turchi dovessero creare questioni.

Difatti la religione musulmana vieta, ai suoi fedeli, di consumare carne di maiale e cavallo (e non solo), ma soprattutto impura, ovvero che non fosse stata fatta dissanguare totalmente.

Insomma, organizzare una bella arrustuta a cui fosse invitanto pure qualche arabo era una scocca di camurria non da poco.

Così i siciliani, sprigiusi come pochi, al pari di quello che fecero cu pani ca meusa, si inventarono una salsa dal sapore deciso che coprisse i sapori dei vari tipi di carne, ma soprattutto non facesse sentire il sapore del sangue.

Gli arabi erano tutti priati di sta cosa, inconsapevoli che li stavano pigghiannu pi fissa. Così ogni qual volta s’apprisintavano agli schiticchi erano soliti salutare con la frase “as salam alaykom” che può essere tradotta in “la pace sia con te”.

"Talè, sta viniennu Mohamed, prepara u salam… i as salimu… vabbeh u salamarigghiu!".

Così il salmarigghiu o salmoriglio che dir si voglia, che oltretutto è anche un ottimo antisettico, divenne uno dei capisaldi della nostra alimentazione da garigghia.

Per concludere con i giusti onori voglio proporvi la ricetta del salmoriglio di Arturo, il quale, ovunque ora i lumi hanno deciso di fargli fare la bella vita, sarebbe felice di sapere che il verbo viene diffuso.

- Olio a tinchitè
- 2 o 3 limoni spremuti a due mani
- Pepe e peperoncino a sentimento
- 2 spicchi r’agghia scafazzati
- Origano e sale quello giusto
- Una sputazzata di aceto e noce moscata

Emulsionate il tutto con una forchetta e distribuite sulla pietanza usando, rigorosamente, un piccolo scupazzu fatto da rami di rosmarino e origano.

La rimanenza, se rimane, non si butta via ma ci si abbagna un panuzzu che è troppo bello.

Alla tua salute Arturo!
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