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Non lacrima ma "suda": la Madonna della Catena fece un miracolo anche a Palermo

In tutta la Sicilia non c’è provincia che non abbia una chiesa ed una festa dedicate al suo culto, che pare si diffuse proprio con la notizia del miracolo del 1392

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 16 luglio 2022

Chiesa di Santa Maria della Catena (foto di Vincenzo Russo)

Non c’è provincia siciliana che non abbia una chiesa ed una festa dedicate alla Madonna della Catena. Emblematico è il caso di Acicatena, la cittadina in provincia di Catania, che, già chiamata Scarpi, venne appellata Acicatena appositamente per il suo sacrario, la Chiesa della Vergine della Catena, che come spieghiamo successivamente, fu voluto dal re Martino alla fine del XIV secolo.

Il culto prima si è diffuso dapprima nell’Italia meridionale e in particolare in quei territori che ebbero a soffrire per la pirateria o dell'occupazione musulmana.

Il tema della rappresentazione figurativa mostra Maria, con il Bambino Gesù in braccio, effigiata nell'atto di sciogliere dalle catene un piccolo schiavo, sovente di razza nera, che ai suoi piedi l'implora in ginocchio.

Sul riferimento, non può esserci alcun dubbio: i musulmani durante le loro razzìe o in scontri sul mare con i cristiani, talvolta venivano catturati e imprigionati, ma alcuni si convertivano alla fede cristiana e imploravano il perdono della Vergine, che nella sua bontà scioglieva le catene e donava al convertito la libertà della fede.
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In Sicilia il primo luogo di culto segnalato è quello di Palermo e la sua origine viene fatta ruotare attorno a un miracolo che ci viene raccontato in particolare dallo storico Antonino Mongitore, nell’opera “Palermo divoto di Maria Vergine e Maria Vergine protettrice di Palermo” (1719) .

Siamo nel 1392 durante il regno di Martino V. Tre condannati a morte debbono essere afforcati a piazza Marina, ma si tratterebbe di un errore giudiziario.

Il crudele rito non poté svolgersi perché poco prima di salire sul palco, si scatenò un uragano sconvolgente. I gendarmi con i condannati cercarono riparo per la notte nella vicina chiesa di S. Maria del Porto, detta anche della Catena per via del fatto - dice la tradizione - che una catena attaccata al muro vietava di accedere al porto.

Lì dentro attesero la fine del temporale, che si protrasse molto a lungo nella notte. Le guardie furono vinte dal sonno, ma non i loro sorvegliati, i quali, oppressi dal pensiero che l'indomani li attendeva morte certa, riuscivano a prendere sonno.

Rivolsero allora lo sguardo al simulacro della Madonna sistemato sull'altare e le fecero un'accorata richiesta di grazia: cominciarono ad invocarla che si degnasse trovare il modo di far sciogliere i loro ceppi e liberarli dal supplizio.

“Con lagrime copiose , e preghiere, tratte dal più profondo del cuore, supplicarono la pietà della Gran Reina degnarsi di soccorrerli in quella estrema calamità, a conceder loro lo scioglimento delle catene, e in dono la vita”, scrive Mongitore

Ad un certo momento sentirono spezzarsi le loro catene, senza che facessero rumore alcuno, e parve loro sentire una voce proveniente dall'immagine: "Andetevene in libertà e non temete cosa alcuna: il Divino Infante che tengo tra le braccia ha già accolto le vostre preghiere e vi ha concesso la vita".

Liberi dai ceppi e con la porta della chiesa, prima sprangata e poi del tutto aperta, vennero sospinti fuori. Furono però raggiunti dalle guardie, che li avrebbero incatenati di nuovo, se non fosse intervenuto il popolo, che di nuovo affollava la piazza. E fu il popolo ad appellarsi al re, che di fronte allo straordinario prodigio, li dichiarò liberi.

Il re e la regina furono i primi a portarsi alla chiesetta del prodigio per vedere le catene spezzate e rendere commosso omaggio a Maria. La vicenda fa gridare al prodigio. Da quel giorno fu un continuo pellegrinare di palermitani e di fedeli dei paesi vicini.

I tre sfuggiti al capestro vennero, naturalmente, perdonati dal re e per la chiesa palermitana, denominata da allora Madonna della Catena, le petizioni e le concessioni di grazie da allora non hanno sosta.

Il titolo di Madonna della Catena - assumendo il significato di "Vergine potente liberatrice" - si affermò e si diffuse rapidamente, non soltanto a Palermo bensì in tutti i luoghi della Sicilia, della Calabria e non solo.

Come abbia detto sopra, al miracolo palermitano si collega la nuova denominazione che venne data ad un paesino del catanese: Acicatena. Presso il castello di Aci, secondo antiche memorie, re Martino si trovava a cingere d'assedio Artale di Alagona.

Dopo la vittoria, ricordandosi del miracolo di Palermo, fece costruire una Chiesa dedicata alla Madonna della Catene a avrebbe introdotto nel territorio di Aci la venerazione a tale Vergine. Non molto dopo il paese prese il nome di Acicatena.

Da allora è un fiorire di chiese, feste e processioni in Sicilia. A Castiglione di Sicilia possiamo ammirare una statua di fattura gaginesca della Madonna della Catena.

Qui la devozione sarebbe stata avviata nei primordi del secolo XV e si sviluppò notevolmente a seguito del miracolo della sudorazione della statua, che leggiamo in un manoscritto.

"L'immagine di marmore detta nostra donna della Catena intro l'ecclesia di Santo Jacopo di questa Città, molte volte sudao, del quale sudore sinni raccolse una caraffina et si conservao, del quale successo et sudore sinni scrissi per 'Arciprete di questa Città all'Ill.mo et rev.mo don Petro Ruiz Arcivescovo di Messina, dal quale fu ordinato che si prendino informatione et dall'hora in poi detta imagine fu reveruta con gran devotione".

A Cronarmerina, quando il parto delle gestanti si presentava particolarmente difficile, nei casi disperati si arrivava ad adagiare la catena, che si trova nella mano destra della Madonna, sul ventre della partoriente per facilitarne il parto.

La catena era parte integrante della statua mariana esposta nella chiesa di San Nicola al Monte, dal 1651 chiamata anche chiesa della Madonna della Catena.

Il culto a Modica, nel ragusano, fu voluto portato dai conti Chiaramonti, feudatari della città, che costruirono intorno al 1450 o 1460 una chiesa dirimpetto al castello. Una bella statua, posta a fronte dell'altare maggiore e processionata, è arricchita di offerte ed ex-voto.

A Termini Imerese è la gente di mare (pescatori, armatori, portuali ecc.) la più devota alla Madonna della Catena. I pescatori più anziani raccontano che, ogni qualvolta prendevano il largo con i pescherecci, uscendo dal porto, si fermavano nello specchio di mare davanti alla chiesetta per invocare con una preghiera la Sua protezione.

Una chiesa consacrata al culto della Madonna della Catena a Messina venne realizzata nel 1518. Un’altra chiesa ad Alcamo, posizionata fuori le mura della città, risulta da atti notarili del 1545-46 ed era curata dalla confraternita dei macellai.

A Mongiuffi Melia, in provincia di Messina, la devozione si deve nel sedicesimo secolo al messinese maestro Filippo Lo Po, forse un condannato, che innalzò la chiesa della Madonna della Catena in un proprio terreno. Il simulacro (degli inizi del XVI secolo) raffigura la Madonna che ha il Bambino sul braccio sinistro e con la mano destra, unitamente allo Stesso, regge delle catene.

Lo storico Mongitore indica una chiesa consacrata alla Madonna della catena situata fuori la città di Monreale e in Trapani una Madonna della Catena era venerata nella chiesa dei frati conventuali di San Francesco.

Nello stesso periodo in cui ci fu il miracolo a Palermo, al signor Taormina residente a Santo Stefano di Quisquina apparve in sogno la Madonna della Catena che gli disse di costruire nel terreno di sua proprietà una cappella in suo onore.

Potremmo ancora a lungo indicare altre città che dedicano chiese, feste, processioni alla Madonna della Catena. Concludiamo ricordando la chiesetta di Villaseta, nella periferia di Agrigento.

Qui lo scrittore Luigi Pirandello, secondo una tradizione orale fece la prima Comunione e incontrò la sua futura sposa, Antonietta Portulano.

Un passo del romanzo pirandelliano “I Vecchi e i Giovani”, ci descrive la sede del culto della Beata Vergine della Catena, nel corso dell’Ottocento, come “una stamberguccia… ridotta a chiesuola per le funzioni della domenica”.

Le prime testimonianze della devozione popolare agrigentina fanno riferimento a due documenti conservati presso la Curia Arcivescovile e riconducono ad un’epoca anteriore al XVI secolo.
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