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Per tutti è Corso Olivuzza ma in realtà ha un altro nome: perché a Palermo si chiama così

Nella contrada dell'Olivuzza si intreccia la vita degli storici imprenditori più importanti della città, i Florio. E c'era un motivo se era una zona in voga tra i nobili

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 7 marzo 2023

L'aristocrazia palermitana scoprì il gusto della villeggiatura lungo il corso del Settecento. Nel centro storico della città i sistemi fognari come quelli odierni non esistevano e le “acque nere” fluivano lungo le strade della città all'aperto. Immaginate quale poteva essere la salubrità dell'aria specialmente nei periodi estivi e torridi.

Giocoforza la nobiltà cercava di trasferirsi in luoghi più ameni per sfuggire all'aria appestata e godere di climi più miti. In virtù di questo “esodo” stagionale nasceranno decine di edifici, seconde case, o meglio case di villeggiatura, nei dintorni del centro cittadino palermitano che popoleranno intere zone della antica Conca d'oro.

La parte di maggiore concentrazione della nobiltà palermitana del XVIII secolo fu la famosa Piana dei Colli a nord della città, ma furono oggetto di interesse dell'aristocrazia anche altre zone, alcune molto distanti dal centro cittadino come ad esempio Bagheria, altre non molto distanti come ad esempio la contrada dell'Olivuzza.
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Eleonora Continella, in un approfondito studio della contrada dell'Olivuzza, scrive: «Una fertile e amena spianata, disseminata di boschi e giardini, si estendeva ad occidente della città di Palermo, tra le antiche e fertili contrade de “La Chiusa” e del “Piano degli orti” ad est, della Zisa a sud e della Noce ad ovest: terre i cui stessi toponimi tradivano la ricchezza della vegetazione e delle colture, dovuta all'abbondanza delle acque ed alla salubrità e mitezza del clima».

La contrada dell'Olivuzza sino ai tempi del Marchese di Villabianca, cioè nel XVIII secolo, non era tenuta in gran considerazione dalla nobiltà, a parte che per la coltura, tant'è che egli nel suo diario la cita semplicemente come un'area di transito, ovvero una «Contrada per cui si va alli Colli» e la si conosceva anche come “Strada della Madonna dell'Orto”, odierno Corso Finocchiaro Aprile.

Carmelo Piola ci racconta che la contrada dell'Olivuzza farebbe derivare il nome dal fatto che vi era «una vecchia bettoliera chiamata Oliva, e pel vezzeggiativo che accorda il nostro vernacolo alle vecchie di umile condizione, Olivuzza». Nel corso dell'Ottocento in questa antica porzione della Conca d'oro, come in molte altre, avviene una progressiva urbanizzazione sino a diventare una sorta di estensione del centro cittadino.

Da zona fertile per la coltivazione e di caccia diverrà luogo di villeggiatura, nella quale sorgeranno alcune tra le residenze estive più suggestive del capoluogo siciliano, in stile neoclassico e neogotico, come voleva la moda del tempo, «fra cui son da mentovarsi, oltre la più antica di casa Pignatelli, de' duchi di Monteleone, quella de' Ventimiglia, principi di Belmonte, non che l'altra del Lo Faso, duca di Serradifalco, e finalmente quella deliziosissima della principessa di Butera Branciforti, da non guari passata in gran parte per vendita alla famiglia Florio ed ove soggiornò la Corte imperiale di Russia nell'inverno 1845 e 46».

In effetti anche qui, nella contrada dell'Olivuzza, si intreccia la storia degli storici imprenditori più importanti della città, i Florio. E però, se via dei Materassai può essere considerato il luogo dove tutto ebbe inizio, l'Olivuzza segna invece sentori di declino, se non proprio la fine di tutta quella meravigliosa epopea farcita di fama, lusso, splendore e ricchezza dei leoni di Palermo.

Infatti è proprio vicino alla contrada dell'Olivuzza che il capostipite della famiglia troverà la morte, una morte gattopardescamente “premonitrice”: «pochi giorni dopo aver fatto testamento, il 30 maggio 1807, confortato da un sacerdote del rione Olivuzza Paolo si spense nella casa di villeggiatura alla Noce, allora una contrada della campagna palermitana che egli aveva preso in affitto nella vana speranza che il cambiamento d'aria giovasse alle sue condizioni di Salute».

Per uno strano caso del destino anche Vincenzo Florio troverà la morte nella contrada dell'Olivuzza, poco dopo essersi trasferito nella villa che il figlio Ignazio aveva acquistato dal principe Ajroldi e che appartenne alla principessa di Butera. Questa villa sarà definita la reggia dei Florio fino alla sua vendita: «L'abbandono della reggia dell'Olivuzza, dove avevano ricevuto re e imperatori, segnava davvero fisicamente la fine del regno palermitano dei Florio».

Ignazio Junior tra il 1893 e il 1898 farà costruire in stile liberty il meraviglioso Villino Florio all'Olivuzza realizzato da Ernesto Basile che circa vent'anni dopo verrà venduto all'Anonima Sicula Immobiliare «che predispose un progetto di lottizzazione» del parco attorno al villino segnando definitivamente il declino della famiglia.

Ma i Florio non saranno gli unici a perdere qualcosa in questa triste vicenda, il loro declino infatti coinciderà in maniera osmotica con quello della città che perderà lentamente il prestigio e la notorietà che aveva raggiunto in Europa grazie a loro. Alla lottizzazione del parco dell'Olivuzza seguirà anche una smodata urbanizzazione specialmente negli anni del "sacco di Palermo".

Le sontuose ville che caratterizzavano la contrada verranno affiancate da palazzoni enormi e non in bello stile, il traffico cittadino romperà i silenzi naturali e la magia dell'Olivuzza sarà scomparsa per sempre.

Tuttavia rimane un alone di bellezza nell'immaginario collettivo della città che parte dai sollazzi dei re Normanni alla Zisa e si conchiude nelle lunghe ed eleganti vesti striscianti di Franca Florio che passeggia nei giorni assolati tra i giardini del Villino Florio all'Olivuzza.

(Per maggiori approfondimenti consiglio la lettura de Il piano dell'Olivuzza di Palermo di Eleonora Continella; Sulle orme dei Florio di Gaetano Corselli d'Ondes e Paola D'Amore Lo bue; I Florio storia di una dinastia imprenditoriale di Orazio Cancila).
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