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Perché intitolare una via a Franca Florio: la "Stella d'Europa", figlia illustre di Palermo

L'intervista all’architetto Filippo Forgia, amministratore di un gruppo dedicato alla nobildonna e promotore di una raccolta firme per intitolare a lei la via Oberdan

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 18 settembre 2022

Dona Franca nel 1912 (collezione privata Afan De Rivera Costaguti)

Le strade, piazze, vicoli di Palermo sono una storia nella storia: personaggi, eventi, vecchi luoghi ormai perduti, persino mestieri, sono una roadmap che attraversa millenni, eppure nel Capoluogo Siciliano manca un nome.

La toponomastica, è una scienza della Linguistica, si occupa di identificare dei luoghi, attraverso l’attribuzione di nomi.

La scelta dell’intitolazione, per Legge Italiana, è disciplinata dal Decreto Legislativo del 1999 che recepisce una legge del 1927, dove sono posti alcuni vincoli: non si può intitolare una strada o dedicare lapide o monumento a chi è deceduto da meno di 10 anni, salvo che non abbia titoli di benemerenza.

L’autorizzazione, una volta demandata al Prefetto, oggi al Comune, si avvale anche di un parere, non vincolante, della "Commissione Deputazione della Storia Patria".

Questa premessa risponde a una domanda che mi sono più volte posta, perché Palermo non abbia intitolato una via a colei che rappresentò a pieno titolo uno dei punti più alti dell’ Età dei Florio, mi riferisco all’Unica, alla Stella D’Europa, a Donna Franca Florio.
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Ho posto il quesito all’architetto Filippo Forgia, amministratore di un gruppo dedicato alla Signora, che ha da qualche mese promosso una raccolta firme indirizzata al nuovo sindaco, per chiedere che sia cambiata la denominazione di via Oberdan a favore della Florio.

Richiesta già avanzata da Donna Costanza Afan de Rivera Costaguti Florio, nipote diretta di Ignazio e Franca Florio, coammministratrice del gruppo di Facebook per 11 anni, e cara amica dell’architetto.

Il sindaco Orlando contattato dalla nobildonna, si fece promotore del progetto, che ebbe parere positivo dalla Commissione Toponomastica di Palermo, ma che si arenò a seguito del parere negativo, seppur non vincolante, da parte della Commissione della Storia Patria, che fu contraria allo spostamento ad altro luogo, del Patriota Irredentista Triestino.

Chiedo all’architetto perché la scelta sia caduta proprio su questa strada, risponde che l’attuale via Oberdan, taglia l’antico parco della Reggia dell’Olivuzza: «Intitolare una via a Donna Franca, in un qualsiasi quartiere di Palermo, o ancor peggio in quelli nati dopo il "sacco", sarebbe sciocco e offensivo, una via va cercata all’interno di quella parte di città che la vide protagonista e regina indiscussa».

Una protagonista e una famiglia, quasi dimenticata, tornata in auge dopo gli ultimi successi editoriali, sebbene grandi storici abbiano scritto importanti e diversi saggi sulla grande Casata.

Ho chiesto all’architetto, il motivo di questa "trascuratezza", mi risponde che potrebbe essere il risultato di due fattori: il primo «nella incapacità di Palermo di generare nuovamente un periodo magico preferendo così rimuoverlo». Il secondo, la decisione dei Florio di allontanarsi da Palermo, trasferendosi a Roma dopo il crollo economico che li coinvolse.

Crollo dovuto secondo Forgia, non al più volte criticato lusso che da solo non avrebbe mai potuto determinare la perdita di un Patrimonio così immenso, ma nella scelta del governo centrale di privilegiare le industrie del nord e il comparto marittimo di Genova a scapito della Marina Mercantile Siciliana guidata dai Florio.

Senza tralasciare il fallimento della Banca Commerciale Italiana, cui Ignazio Florio «aveva dato l’opportunità (infausta) di aprire uno sportello, all’interno del proprio Banco», sostiene l'architetto.

Dopo il crollo, l’Imprenditore, si sentì in dovere di rifondere tutti quei piccoli risparmiatori che avevano affidato a questo sportello i propri risparmi. Ciò comportò per la Casata un esborso di quasi 5 milioni di lire di allora, una cifra colossale per l’epoca: «I Florio, però, non fallirono mai - continua - onorarono tutti i debiti senza farli ricadere sulla società civile e sull’economia dell’isola».

Torniamo alle “leggi” della Toponomastica, che prende in considerazione nell’attribuzione dei nomi personaggi luoghi, eventi ritenuti particolari per la collettività dal punto di vista storico, sociale e culturale.

È innegabile che Franca Florio ebbe titoli di merito: «Essendo nelle condizioni economiche di potersi adoperare per le classi più umili - aggiunge - Donna Franca, fu presidentessa e promotrice di diversi istituiti che si occuparono di bambini abbandonati e indigenti; creò un educandato per ragazze in difficoltà e orfane, procurando a ognuna di esse un piccolo capitale.

Volle e fondò, insieme al marito, l’Istituto per ciechi Ignazio Florio e Salomone, che ancora oggi esiste a Palermo, dotandolo di un immobile di proprietà, fu promotrice dei primi asili nido all’interno della fabbriche di Casa Florio.

Inoltre nella Reggia dell’Olivuzza, fu allestita una cucina economica che per decenni cucinò circa 500 pasti al giorno per i poveri del quartiere. Fu, inoltre, tra le prime ad accorrere con il marito a Messina per aiutare i superstiti del disastroso terremoto del 1908».

Fu promotrice con Ignazio e l’architetto Basile, del Liberty palermitano, di cui possiamo ancora ammirare edifici unici come Villa Igiea e Villino Florio all'Olivuzza, senza tralasciare il contributo per la realizzazione del Teatro Massimo.

Fu una grande Figlia di Palermo, un’ambasciatrice, che per oltre 40 anni portò la Città al centro dell'Europa. Affascinante e Bellissima per i canoni dell’epoca, la sua altezza di 1,73 la faceva distinguere rispetto alle altre signore, fu apprezzata per fascino e cultura da teste coronate, artisti e intellettuali.

Seppe emergere sino a diventare un mito, nonostante: «le sventure della vita, con i numerosi lutti e il tracollo economico -conclude -. Ebbe una capacità di resilienza incredibile, ai nipoti che man mano arrivavano, continuò a raccontare una favola vista dietro lo specchio, come se fosse stata vissuta da altri protagonisti e non da Lei. Intitolare una via a Donna Franca Florio, è quindi un dovere morale e storico».
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