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Prima ti sfianca e poi ti salva: perché Palermo "non ama tutti, ma ognuno di noi"

"Palermo Spàsima" (Rubbettino editore) di Giampaolo Frezza è un libro che è molto più di una dichiarazione d’amore per il capoluogo siciliano. È un’adozione reciproca

Federica Dolce
Avvocato e scrittrice
  • 18 agosto 2025

Palermo

C’è una città in cui l’amore non è mai facile. Non è mai comodo, né gentile. Una città che ti sfianca, ti esaspera, ti scotta, ti sporca. E poi, all’improvviso, ti salva. Questa città è Palermo. E il professore Giampaolo Frezza, docente di diritto e collezionista d’arte contemporanea, ne ha fatto il centro di un memoir appassionato, crudo e poetico: "Palermo Spàsima" (Rubbettino editore), un libro che è molto più di una dichiarazione d’amore. È un’adozione reciproca.

Il titolo è già una dichiarazione di intenti: “spàsima”, parola antica, intensa, che evoca il dolore e l’estasi, lo struggimento e la meraviglia. È il verbo giusto per raccontare una città che ti si attacca addosso come l’umidità, ma che brucia come il fuoco. Un amore che non si consuma, perché continua a farti male e a salvarti, insieme. Giampaolo Frezza arrivò a Palermo nel 1999. Un incontro che all’inizio fu tutto fuorché felice.

«Arrivai a Palermo nel 1999. Venticinque anni fa. All’inizio era solo estraneità e degrado. “Ma dov’è il mare?”. “Eppure è una Città … di mare!”. Me lo chiedevo mentre camminavo per vicoli bui e tra palazzi dimenticati. Fra l’immondizia abbandonata e gli odori intrisi di vita vissuta e rumorosa. I miei occhi attendevano un soffio di bellezza. Non si manifestava. I rumori, il caos; le notti insonne a causa del tanto “spasimo”; il cibo pesante; l’abbandono del centro storico. La munnizza e il degrado. La Città mi guardava, a quel tempo, con la stranezza e la luce di un cielo che non era il mio».

Eppure qualcosa cambiò. Una breccia nella corazza. Un barlume di luce nelle ombre.

«E poi d’improvviso la bellezza assoluta. La Città si è resa straordinariamente presente con il suo decadentismo e il suo simbolismo. Ho così capito che questa bellezza è unica perché tragica. La bellezza tragica è un ossimoro che, secondo me, ben sintetizza l’anima di Palermo».

Quella di Frezza è una lente allenata a cogliere il doppio fondo delle cose. E in Palermo Spàsima nulla è lasciato al caso: i quartieri, i nomi, le ferite. Ma è proprio da lì che comincia l’amore. Non “nonostante”, ma "per" le sue contraddizioni.

«La mia adorata mamma, cresciuta nella cultura tipica dell’Umbria a confine con il Lazio – una cultura mista fra la rassegnazione, l’autocommiserazione e il sano realismo, spesso cinico – mi ricordava spesso che se ami davvero devi accettare anche i limiti dell’amata. Cercai questi limiti e queste ferite in periferia. Zen, Sperone, Brancaccio: lì si descrivono episodi piccoli, ma che mi hanno trasmesso una lettura salvifica della vita».

Nessuna idealizzazione, nessun folklore consolatorio. In quelle passeggiate Frezza scopre un’altra bellezza: quella dei volti, delle mani, della dignità ferita che però non smette di rialzarsi.

«La bellezza non era di monumenti, di vicoli, di cibo e di cultura. Ma era la fierezza ferita e rimarginata di un popolo che, anche da questo punto di vista, e nonostante le sue ferite, aveva subito le angherie di un’ultima dominazione ingiusta, quella contemporanea. Il mio sguardo, dopo quelle passeggiate, era mutato. Io ero cambiato, e, in quel frangente, mi sono sentito un abitante adottato di Palermo».

Così Palermo diventa una città che “non ama tutti, ma ognuno”, come scrive l’autore. Un luogo che ti cambia in profondità, se accetti di lasciarti trasformare.

«Spasimare è un verbo transitivo e intransitivo. Pertanto nel significato del racconto è volutamente inteso nella sua dinamicità (transitare e non transitare), nella sua polivalenza non statica. Attiva, energica, intraprendente, vivace. In movimento. Ma lo spasimo è un “movimento” di amore, ma anche di dolore. Sentimenti che questa città ti ricorda ogni giorno».

E se il libro si apre con lo sconcerto, si chiude con un amore che non vuole possedere, ma custodire. Non un amore cieco, ma consapevole. Palermo ti ama nel momento in cui ti accorgi che puoi perdonarla.

«Così la Città non ama tutti ma ognuno. E ognuno è amato in maniera diversa. È un amore personificato. E ti induce a vivere la vita camminando nella ricerca della felicità. E, nell’amare ognuno e ciascuno, la Città perdona tutti. Questo amore misto a perdono è, secondo me, l’insegnamento di Palermo. Un amore senza possesso. Con distacco e con perdono».

"Palermo Spàsima" è un libro che spiazza. Non cerca mai di convincere, ma racconta. E nel farlo, inchioda il lettore a una verità tanto scomoda quanto luminosa: Palermo è una ferita che continua a pulsare, ma proprio per questo è viva. Una città che va cercata, inseguita, vissuta camminando.

E che, quando ti prende per mano, non ti lascia più.
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