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Quando Palermo e il grano siciliano finirono sul New York Tribune: tutto grazie a Karl Marx

La Sicilia e i siciliani per le proprie specificità hanno richiamato da sempre l'attenzione di numerosi intellettuali e filosofi e tra questi, anche quella di Karl Marx

  • 23 maggio 2020

Kalr Marx con Hengels nella tipografia de Die Neue Reinische Zeitung

La cronaca politica ha fatto riaffiorare prepotentemente alla ribalta il concetto di identità siciliana che di per sé racchiude le mille sfumature, i pregi e le contraddizioni che il popolo di Sicilia si porta dietro, la sua storia millenaria, forgiata dal susseguirsi di incontri e scontri di civiltà che hanno contribuito a creare molti dei suoi tratti distintivi, nella propria cultura, nella propria lingua, perché appunto di lingua e non di dialetto si parla, nelle proprie usanze e in parte anche nel proprio carattere.

La Sicilia e i siciliani per le proprie specificità hanno richiamato da sempre l'attenzione di numerosi intellettuali e filosofi e tra questi, anche quella di Karl Marx. Marx, considerato una delle menti più brillanti della sua epoca, teorico della concezione materialistica della storia e insieme a Engels del socialismo scientifico, è sicuramente annoverabile tra i pensatori maggiormente influenti sul piano politico, filosofico ed economico nella storia dell'Ottocento e del Novecento.
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Nei suoi scritti non mancò appunto di interessarsi dell'isola formulando un’interessante analisi storica delle condizioni e delle leggi della rivoluzione democratico-borghese siciliana e meridionale e fornendo altri importanti spunti socio-politici.

Il tutto condensato in un articolo pubblicato nel 1860 presso il New York Tribune, con cui Marx collaborava, considerato il più autorevole ed influente fra i giornali americani del diciannovesimo secolo: vantava tra i suoi lettori più illustri niente poco di meno che Abraham Lincoln e tra i suoi caporedattori, Charles Dana che tra l'altro fu poi sottosegretario alla guerra proprio nell’amministrazione Lincoln.

L'illustrazione data da Marx, rovescia il clichè dei siciliani di popolo tacitamente sottomesso, anzi abbraccia e ne loda le prerogative di ribellione e riscatto, mettendo in risalto il fatto che nonostante si fossero susseguite nei secoli più dominazioni, mai queste, la schiavitù o le mal vessazioni vennero accettate passivamente.

Lo scritto anticipava di qualche anno la rivolta dei Fasci dei Lavoratori Siciliani (1891-1894), movimento organizzato con cui la popolazione isolana diede poi prova della propria capacità organizzativa e del desiderio di ribellarsi alle imposizioni del latifondo agrario e all'oppressione monarchica.

Ma ora lasciamo parlare direttamente Karl Marx*.

“In tutta la storia della razza umana nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto in modo altrettanto terribile per la schiavitù, le conquiste e le oppressioni straniere, e nessuno ha lottato in modo tanto indomabile per la propria emancipazione come la Sicilia e i siciliani.

Quasi dal tempo in cui Polifemo passeggiava intorno all'Etna, o in cui Cerere insegnava ai siculi la coltivazione del grano, fino ai giorni nostri, la Sicilia è stata il teatro di invasioni e guerre continue, e di intrepida resistenza. I siciliani sono un miscuglio di quasi tutte le razze del sud e del nord; prima dei sicani aborigeni con fenici, cartaginesi, greci, e schiavi di ogni parte del mondo, importati nell'isola per via di traffici o di guerre; e poi di arabi, normanni, e italiani. I siciliani, durante tutte questetrasformazioni e modificazioni, hanno lottato, e continuano a lottare, per la loro libertà.

Più di trenta secoli fa gli aborigeni della Sicilia opposero resistenza come meglio poterono al predominio degli armamenti e all'arte militare degli invasori cartaginesi e greci. Vennero resi tributari, ma non furono mai del tutto sottomessi né dagli uni né dagli altri. Per lungo tempo la Sicilia fu il campo di battaglia dei greci e dei cartaginesi; la sua gente fu ridotta in rovina e in parte resa schiava; le sue città, abitate da cartaginesi e greci, furono i centri da cui oppressione e schiavitù si diffusero
all'interno dell'isola.

Questi primi siciliani, tuttavia, non persero mai l'occasione di lottare per la libertà, o almeno di vendicarsi quanto più potevano dei loro padroni cartaginesi e di Siracusa. I romani infine sottomisero cartaginesi e siracusani, vendendone come
schiavi il maggior numero possibile. Furono così venduti tutti in una volta 30.000 abitanti di Panormo, la moderna Palermo. I romani fecero lavorare la terra siciliana da innumerevoli squadre di schiavi, allo scopo di sfamare i proletari poveri della Città Eterna con il grano siciliano.

In vista di ciò, non solo resero schiavi gli abitanti dell'isola, ma importarono schiavi da tutti gli altri loro domini. Le terribili crudeltà dei proconsoli, pretori, prefetti romani sono note a chiunque abbia un certo grado di familiarità con la storia di Roma, o con l'oratoria ciceroniana. In nessun altro luogo, forse, la crudeltà romana arrivò a tali orge. I cittadini poveri e i piccoli proprietari terrieri, se non erano in grado di pagare lo schiacciante tributo loro richiesto, erano senza pietà venduti
come schiavi, essi stessi o i loro figli, dagli esattori delle imposte.

Ma sia sotto Dionigi di Siracusa che sotto il dominio romano, in Sicilia accaddero le più terribili insurrezioni di schiavi, nelle quali popolazione indigena e schiavi importati facevano spesso causa comune. Durante la dissoluzione dell'impero romano, la Sicilia fu assalita da vari invasori. Poi i mori se ne impadronirono per un certo periodo; ma i siciliani, soprattutto le popolazioni originarie dell'interno, resistettero sempre, con più o meno successo, e passo dopo passo mantennero o
conquistarono diversi piccoli privilegi.

Quando le prime luci avevano appena cominciato a diffondersi sulle tenebre medievali, i siciliani avevano già ottenuto con le armi non solo varie libertà municipali, ma anche i rudimenti di un governo costituzionale, quale allora non esisteva in nessun altro luogo. Prima di ogni altra nazione europea, i siciliani stabilirono col voto il reddito dei loro governi e dei loro sovrani.

Così il suolo siciliano si è sempre dimostrato letale per gli oppressori e gli invasori, e i Vespri siciliani restarono immortalati nella storia. Quando la casa di Aragona ridusse i siciliani alle dipendenze della Spagna, essi seppero come mantenere più o meno intatti i loro privilegi politici; e fecero la stessa cosa sotto gli Asburgo e i Borboni. Quando la rivoluzione francese e Napoleone espulsero da Napoli la tirannica famiglia regnante, i siciliani - incitati e sedotti dalle promesse e dalle garanzie inglesi - accolsero i fuggiaschi, e li sostennero nella lotta contro Napoleone col sangue e col denaro.

Tutti conoscono il successivo tradimento dei Borboni, e i sotterfugi o le impudenti smentite con cui l'Inghilterra ha cercato e continua a cercare di nascondere il fatto di avere slealmente abbandonato i siciliani e le loro libertà alle tenere grazie dei Borboni.

Attualmente, l'oppressione politica, amministrativa, e fiscale schiaccia tutte le classi della popolazione; e queste ingiustizie sono sotto gli occhi di tutti. Ma quasi tutte le terre sono ancora nelle mani di un numero relativamente piccolo di latifondisti o baroni. In Sicilia vengono tuttora mantenuti i diritti medievali del possesso della terra, salvo che chi coltiva non è più un servo della gleba; non lo è più circa dall'undicesimo secolo, quando divenne un libero fittavolo.

Le condizioni dell'affitto sono, tuttavia, generalmente così oppressive, che la stragrande maggioranza degli agricoltori lavora esclusivamente a vantaggio dell'esattore delle imposte e del barone, producendo a malapena qualcosa in più rispetto alle imposte e all'affitto, e rimanendo essi stessi o disperatamente, o almeno relativamente, poveri. Pur producendo il famoso grano siciliano e frutti eccellenti, costoro vivono miseramente di fagioli tutto l'anno.

Ora la Sicilia è di nuovo insanguinata, e l'Inghilterra è la distaccata spettatrice di queste nuove orge dell'infame Borbone, e dei suoi non meno infami favoriti, laici o clericali, gesuiti o uomini d'arme. I chiassosi declamatori del parlamento britannico riempiono l'aria di vuote chiacchiere sulla Savoia e i pericoli della Svizzera, ma non hanno neppure una parola da dire sui massacri delle città siciliane. Non un grido di indignazione si leva in tutta Europa.

Nessun capo di governo e nessun parlamento chiede la messa al bando di quell'idiota assetato di sangue di Napoli. Solo Luigi Napoleone, per questo o quello scopo - naturalmente non per amore della libertà, ma per rafforzare la sua famiglia o l'influenza francese - può forse fermare il macellaio nella sua opera distruttiva. L'Inghilterra griderà alla perfidia, sputerà fuoco e fiamme contro il tradimento e l'ambizione napoleonica, ma i napoletani e i siciliani saranno alla fin fine i vincitori, anche sotto un Murat o qualsiasi nuovo dominatore. Ogni cambiamento non sarà che verso il meglio".

*Marx-Engels, Opere complete Editori Riuniti,vol. XVII,pagg.375-377
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