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Quando Palermo era divisa tra collezionisti e spaccini: le schede telefoniche e il delirio di massa

La prima scheda telefonica nasce nel 1976 in Italia, ad opera della SIP. Non ci volle molto che cominciò a prendere piede un’ossessione di massa

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 8 marzo 2022

Freddie Mercury collezionava xilografie giapponesi, Bill Gates colleziona opere d’arte e manoscritti di Leonardo da Vinci che a sua volta collezionava barzellette sporche. Il mago Silvan colleziona carte da gioco, Alberto Angela la sabbia del deserto dei posti che ha visitato, Fred Bongusto collezionava i fumetti Tex Willer. Orietta Berti camice da notte, Leo Gullotta paperelle, Natalia Estrada ha dichiarato di collezionare rane, Giovanni Rana colleziona parole di Francesco Amadori. Poi c’era mio nonno che collezionava multe in divieto di sosta e Sigmund Freud reperti archeologici (ne possedeva circa duemila, Freud non mio nonno).

Già, Freud… chi meglio di lui? Proprio la teoria Psicoanalitica dice che “raccogliere oggetti, potrebbe essere un'espressione della fase anale, chiamata in causa quando si parla di controllo e di conservazione, perché nel bambino coincide con la prima esperienza di dominio dello sfintere. A Palermo (ma del resto in tutta Italia) negli anni 90’ impazza la mania di collezionare schede telefoniche… ma facciamo un salto indietro.
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È il 1927 quando ad opera di una società piemontese viene creato il primo gettone telefonico: dagli anni 60’ in poi il suo valore salirà dalle 30 alle 200 lire, e lì si fermerà fino al suo ritiro nel 2001. La prima scheda telefonica invece nasce nel 1976 in Italia, ad opera della SIP che immette nel mercato questa carta prepagata a banda magnetica. Che ci crediate o no, il motivo per cui la SIP passa alle schede telefoniche è il tasso elevato di furti dei gettoni telefonici: in pratica le cassette dei gettoni delle cabine telefoniche subivano veri e propri assalti alla tipo Bonnie e Clyde con le banche.

All’inizio le schede erano brutte e poco poetiche, un po’ come i prodotti di ultima gamma dei grandi discount dove si trova il latte di marca “Latte”, la pasta di marca “Pasta” e le patatine di marca “Patatine”; poi, 1990, finalmente, a qualche genio viene la bella pensata di farne un restyling, ma ancor di più quella di usare tale restyling in modo da vendere sponsorizzazioni, dunque spazio pubblicitario, sul fronte della scheda. Come ricorderete un po’ tutti infatti c’era una numerino sotto, nel retro, che stabiliva la tiratura della scheda telefonica, cioè in numero di quel tipo scheda in circolazione.

Ciò significa che più piccioli sborsava lo sponsor (che comunque veniva ottenuto tramite un appalto) tanto più schede c’erano di quel tipo, fino alla dicitura: “tiratura oltre 1.000.0000”; di controparte, più ziccusa (tirchia) era l’azienda che si sponsorizzava più scendeva la tiratura. Noi collezionisti che ci priavamo tutti (cioè facevamo salti di gioia) quando trovavamo una scheda rara, non avevamo mai considerato che la rarità camminava a braccetto con la tirchieria.

Che io ricordi non fu come per il Covid dove fu individuato il paziente “zero” che immischiò il virus a tutti gli altri. Nossignore, un giorno di punto in bianco, senza nessun preavviso, arrivammo in classe, in ufficio, in banca, e scoprimmo che già tutti collezionavamo schede telefoniche solo che non ce lo eravamo mai detti. Tempo sei mesi non se ne capì più nulla: chi le scambiava, chi le comprava al tabacchino, e chi le andava cercando per le strade e per le cabine telefoniche. Non ci volle molto e prese piede un’ossessione di massa che si riversò contro i poveri acquirenti che compravano le schede veramente per parlare soltanto al telefono.

“Ha schede vuote? Ha schede vuote? Ha schede vuote?”, Altro che “Mi ami, quanto mi ami… mi pensi quanto mi pensi”, non so nelle altre città ma a Palermo non si poteva fare una telefonata in santa pace manco se si andava a telefonare all’acchianata di Beautifull Flash (Bellolampo è la collina dove ci sta la discarica, ma quella è un’altra storia).

I tagli principali erano tre: 5, 10 e 15 mila lire caratterizzate da bande colorate rispettivamente di colore rosso, azzurro e viola. Quando da ossessione si passò a delirio di massa, i tre tagli cominciarono ad essere utilizzati per fare delle vere e proprie serie che finirono per diventare dei veri e propri cult. Avrete bene in mente la serie del “preservativo”, quella delle “uova di pasqua”, quella del “panino” e altre ancora.

Ora, siccome un famoso economista di nome John Smith disse che gli individui generano ordine sociale e sviluppo economico nonostante non agiscano con l'intenzione di generarlo, ma con quella di perseguire il proprio interesse personale (mano invisibile si chiama questa teoria), accadde che a Palermo s’incontrarono quelli con la smania di collezionare con quelli alla ricerca del pezzo di pane: nacquero così dei veri e propri centri di vendita amorevolmente abusivi. Quello più famoso di tutti, a Palermo, era dentro il mercato della Vucciria. Si arrivava lì e ci stava l’impiegato che, con la grazia di un gioielliere, apriva uno schedario, ve lo metteva sul bancone, e vi controllava mentre lo sfogliavate perché “se vai a Palermo non toccare le banane”.

Come facevano ad avere tutte quelle schede e così rare nessuno lo ha mai capito. Un giorno, a settembre, papà mi diede i soldi per comprare i libri della scuola. Da grande fan di Pinocchio che potevo mai fare? Andai alla Vucciria e invece di investire sulla cultura, volli investire sulle schede telefoniche (anche perché avevo creduto a Massimo Lopez e al concetto che “una telefonata allunga la vita”). Non so come - papà forse aveva i sensi di ragno come Spiderman- me lo trovai proprio all’ingresso della famosa strada, dipinta anche Guttuso nella celebre opera, che mi puntava il dito contro.

Iniziò in un inseguimento tipo Pietro Mennea che rincorre Pierino ma con la musica de “Lo Squalo” di sottofondo. Alla fine ci ricongiungemmo a casa, dove mio padre mi insegnò un attacco d’arte come quelli Giovanni Muciacia: come fare i coriandoli con un mazzo di schede telefoniche e un paio di forbici.

Tutte me le tagliò, tutte tranne una: la scheda dedicata a Santa Rosalia (il peccato troppo grosso sarebbe stato). Ebbene sì, c’era una scheda dedicata proprio alla nostra santuzza e al 374° festino di Santa Rosalia del 1998. La Santa quella volta non mi aveva potuto salvare perché oggettivamente avevo torto, però si era salvata da sola… “aiutati che Dio t’aiuta” si dice ancora.
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