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Quando si credeva che i "Giganti" abitassero la Sicilia: la storia della Grotta di Maredolce

Secondo una leggenda, vi fu un tempo in cui la Sicilia era abitata da "uomini chiamati Ciclopi che superavano in altezza i più alti alberi e si pascevano di sangue umano”

  • 27 aprile 2020

La chiesa di Maredolce o San Ciro a Palermo (foto di archivio del Museo Geologico Gemmellaro)

Sicuramente tutti conosciamo questo scorcio della periferia palermitana. Tutte le volte che si imbocca l’autostrada all’uscita di Palermo in direzione Messina, l’occhio volge lo sguardo verso la imponente chiesa di San Ciro, anche chiamata di “Maredolce” proprio perché situata in località Maredolce, in una zona ad est della città di Palermo e precisamente alle pendici settentrionali del Monte Grifone.

Per quanto non si sappia granché sull’abbandono (e la probabile sconsacrazione) della chiesa di San Ciro, ciò che invece è noto agli esperti ma che in molti non sanno è che la grotta di San Ciro, denominata anche "Grotta dei Giganti”, e i buchi nel monte Grifone che si vedono alle spalle della chiesa sono considerati il luogo in cui è nata la paleontologia dei vertebrati in Sicilia, grazie al ritrovamento nella grotta di Maredolce di fossili di elefanti e ippopotami risalenti a a 200.000 anni fa.
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A ricordarci l’importanza storica di questi luoghi è il Museo Geologico Gemmellaro di Palermo che, con un lungo post pubblicato sulla pagina Facebook del museo, ha riportato alla memoria il momento in cui lo studioso Bivona Bernardi segnò una rottura con una tradizione di miti e leggende, secondo la quale vi fu un tempo in Sicilia era abitata da “una stirpe di uomini che ebbero un solo occhio, largo come uno scudo, essi erano chiamati Ciclopi e superavano in altezza i più alti alberi e si pascevano di sangue umano”.

Eh già perché «le prime notizie riconducibili alla grotta di S.Ciro sono di carattere mitologico: più precisamente, datate intorno al 1547 - dice Carolina Di Patti Conservatrice e responsabile del Museo Geologico "G. G. Gemmellaro" di Palermo - e queste notizie sono ad opera di Tommaso Fazello che riporta la notizia della scoperta di grandi ossa da parte di un operaio (un tale Paolo Leontino) che lavorava nella zona in una fabbrica di salnitro, una vecchia denominazione, rimasta lungamente in uso, del nitrato di potassio.

Queste ossa furono attribuite, in un primo momento, alla presenza di Giganti che avevano abitato la città di Palermo, e la Sicilia tutta, in epoca remota».

Ma a sconfessare la presenza dei giganti in Sicilia fu un articolo pubblicato nel 1830 dalla testata giornalistica palermitana “La Cerere” a firma dello studioso Barone Bivona Bernardi: «Era il 1 aprile del 1830 e sul giornale officiale di Palermo, “La Cerere”, apparve un articolo a firma del Barone Bivona Bernardi che così scriveva: “È da parecchi mesi che taluni hanno contezza d’essersi rinvenute, dentro una grotta, ossa di grandi animali in moltissima quantità, il maggiore ossame è d’ippopotami, il minore ossame appartiene all’elefante» - si legge sul post pubblicato dal museo.

Le affermazioni di Bivona Bernardi rappresentavano un’apertura verso le più avanzate ricerche paleontologiche europee, tanto che - continua Carolina Di Patti - «gli articoli di Bivona non passarono inosservati e il governo borbonico di allora ordinò alla commissione di pubblica istruzione una particolareggiata relazione preceduta da uno scavo presso la Grotta di San Ciro.

Lo scavo ebbe inizio il primo maggio 1830 e si concluse il 20 dicembre dello stesso anno con il rapporto sulle ossa fossili di Maredolce e degli altri contorni di Palermo da parte dell’Abate Domenico Scinà, e a seguito delle varie operazioni di scavamento nella grotta, i cui resti e reperti si trovano oggi custoditi al Gemmellaro, sappiamo che i fossili rinvenuti risalgono a 200.000 anni fa quando la Sicilia era popolata da elefanti, ippopotami, cervi, daini, orsi, lupi, cinghiali».

La grotta di S. Ciro ritornò poi agli onori della cronaca quando riprese, per mero interesse industriale, la ricerca di ossa. Infatti, la povera gente dell'epoca si dava da fare per estrarre quanto più antiche ossa possibili da potere rivendere a basso prezzo e destinate all'estero per la produzione di oggetti vari (pomi di bastone, scatolette, cammei, colonnine, pendenti, etc.).

La richiesta di ossa era così nota tra il popolo che il deposito osteologico all'interno della grotta fu quasi completamente asportato.
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