STORIA E TRADIZIONI
Scene da film ma è successo davvero: quando a Favignana "pescarono" due squali
La storia del sub della tonnara che tornò terrorizzato perché aveva appena avvistato due grossi esemplari. Uno era morto ma l’altro era ancora vivo

Lo squalo bianco nella tonnara di Favignana (1987, foto da "Il Giornale dei Marinai")
Il caso ha generato preoccupazione anche in Sicilia in vista dell'imminente stagione estiva e turistica, in particolare per le vicine acque di Pantelleria, Linosa e Lampedusa.
In realtà, come ha spiegato anche il nostro esperto di ambiente, Aurelio Sanguinetti in un approfondimento, non è la prima volta che viene avvistato uno squalo bianco al largo delle coste siciliane, perché la specie è un "habitué" del Mediterraneo (ma - è giusto ricordarlo - non è neanche fra gli animali più pericolosi che è possibile incontrare in acqua).
Uno dei casi più celebri, passati alla storia (è proprio il caso di dirlo) è quanto avvenuto nella tonnara di Favignana (per intenderci quella fondata dai Florio e che contribuì a fare la fortuna dei Leoni di Sicilia) de dove sono entrati due squali bianchi.
Lo storico evento è raccontato sulle pagine del "Giornale dei Marinai", riportando le testimonianze dei pescatori e tonnaroli dell'epoca.
Era l'anno 1987 quando il sub della tonnara, Nitto Mineo, torna terrorizzato perché aveva appena avvistato due grossi squali bianchi. Uno era morto ma l’altro era ancora vivo e impigliato nella rete. I due esemplari erano di dimensioni impressionanti: 5 metri di lunghezza e più di 2 tonnellate di peso. Nella pancia dello squalo ritrovati anche 20 tonnetti ed un delfino di 200 kg.
Contro lo squalo bianco ancora vivo, il sub è costretto a combattere una vera e propria battaglia per catturarlo. Ecco la ricostruzione dei fatti attraverso le parole e i ricordi di Nitto Mineo, riportati nel "Giornale dei Marinai".
«Nel 1987 nella tonnara di Favignana c’erano due squali bianchi, maschio e femmina, erano entrati nella notte ed erano restati ammagliati - racconta il sub - : il maschio era nella vucca a ‘nnassa, la femmina nella porta della bastardella; prima recupero quello della nassa, e la barca se lo porta a terra a rimorchio perché pesa oltre duemila chili ed è impossibile metterlo a bordo».
«Io nel frattempo avevo visto l’altro, pure ammagliato, ma per recuperarlo ho aspettato il ritorno della muciara; nel frattempo sono passate più di due ore.
È sicuramente morto, pensavo; nel tentativo di liberarsi aveva rotto tutte le reti, la suttana (la rete, ndr) l’aveva fatta a pezzi, lo squalo aveva la testa libera, rivolta a maestro, e nella coda aveva una palla di rete, un imbroglio di oltre un metro di diametro; per non fare spostare la barca fuori dalla tonnara ho deciso di liberarlo dalla parte interna, avrei lavorato di più ma così evitavo ai tonnaroti di mettersi nuovamente ai remi, lo feci per loro, e non sapendolo mi salvai la vita!».
Mineo prova quindi a liberare la coda del pesce «ma non era facile, la rete di sisal era strettissima, lo squalo aveva scatenato tutta la sua potenza e si era imbrogliato in maniera incredibile».
L'uomo credeva che l'animale fosse morto, quando improvvisamente: «Mi sento trascinare via, capisco che lo squalo è ancora vivo, reagisco d’istinto, do un colpo di pinne per allontanarmi, il pesce si raddrizza facendo perno sulla coda ancora prigioniera, spalanca la bocca. Giuro che gli ho visto la gola, la lingua, lo so che la lingua non ce l’hanno ma io gli ho visto qualcosa che gli somiglia, nera, i denti, si gira, cerca di afferrami».
Dalla barca capiscono che sta succedendo qualcosa. «La bocca arriva a pochi centimetri da me - ricorda Mineo -, gli metto una mano sul muso e mi spingo indietro, non so com’è che non mi afferra il braccio, poi per un attimo la rete lo trattiene, infine si raddrizza nuovamente e si gira ancora contro di me, ma stavolta ero riuscito ad allontanarmi di un paio di metri».
«Sono momenti che non capisci più niente, non guardo nemmeno se è ancora ammagliato per la coda e fuggo in superficie, i 30 metri d’acqua li ho fatto in un batter d’occhio, e sono salito in barca da solo, senza levarmi le bombole né la zavorra… Posso dire di essergli uscito due volte dalla bocca».
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