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Se mentre nuoti lo vedi, allontanati: cos'è e perché il vermocane è così temuto in Sicilia

Chiamato anche "verme di fuoco" per via dei suoi aculei urticanti, la sua presenza sempre più massiccia nei mari sta destando allarme nell'Isola: cosa fare se vi punge

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 1 giugno 2024

Un'immagine del "vermocane"

Il suo nome scientifico è Hermodice carunculata, ma è anche noto ai meno esperti come verme cane, anche detto vermocane o verme di fuoco, per via dei suoi aculei che contengono diverse tossine urticanti.

Trattasi di uno degli invertebrati considerati più dannosi e pericolosi del Mediterraneo, visto che da diversi anni ha cominciato a moltiplicarsi in maniera incontrollata e a occupare varie zone costiere, frequentate da pesci e bagnanti.

Appartenente al Phylum degli anellidi, è una specie endemica dei nostri mari descritta già ai tempi degli antichi romani e dei greci. Se infastidito, questo verme può infliggere dolorose irritazioni, lanciando i propri aculei ad uncino per diversi centimetri di distanza (ve lo mostriamo in un video).

In apparenza può sembrare lento e innocuo, soprattutto quando lo si incontra mentre si sta svolgendo dello snorkeling.

Come però ben testimoniano alcune antiche leggende greco romane, può sorprendere le sue vittime con scatti improvvisi e il già citato lancio degli aculei.
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Simile per colori ad un verme tropicale, per molto tempo la sua specie è rimasta confinata nei pressi del Canale di Suez, ma recentemente ha raggiunto le coste italiane, dove ha subito una crescita importante della sua popolazione, per via del surriscaldamento climatico.

Per quanto vengono accusati di rappresentare una grave minaccia sanitaria per i turisti e i bagnanti, in verità sono i pescatori a vivere maggiormente il pericolo di ferirsi con i loro aculei, visto che spesso i vermi cane finiscono tra le loro reti, essendo dei grandi divoratori di ricci e di mitili.

Grandi circa 15-20 cm e con il corpo composto da circa 60-150 segmenti identici, in passato si è tentato di limitarne la popolazione setacciando il fondale nei pressi della costa e tagliando ciascun esemplare in due parti. Tuttavia, essendo questi vermi capaci di rigenerarsi, questa tecnica non ha fatto altro che incrementare ulteriormente il danno, avendo aumentato il numero di esemplari che minacciavano alcune aree marine.

Considerando la Sicilia, questa specie è stata avvistata ad Ustica, a Lampedusa, nell’arcipelago delle Egadi, alle Eolie e a Pantelleria, ma anche nelle varie aree marine protette del Palermitano, del Catenese e del Siracusano, mentre sembra essere quasi del tutto assente nella costa meridionale dell’isola.

Per studiare la sua popolazione e divulgare alle persone la sua presenza nei mari italiani, l’Istituto Nazionale di Oceanografia - in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, all’Ispra e all'Area Marina Protetta di Capo Milazzo – ha quindi organizzato per quest’estate una campagna di studio e di divulgazione, che ha anche lo scopo di individuare nuove strategie utili per limitarne e comprenderne l’espansione.

«In particolare siamo interessati a scoprire i segreti dei loro aculei», ha dichiarato uno dei protagonisti del progetto, Roberto Simonini.

Gli scienziati, infatti, non conoscono di preciso le proprietà delle sostanze urticanti presenti in questi anelli e non riescono nemmeno a comprendere perché l’intensità del bruciore provocato dagli aculei venga percepito in maniera diversa a seconda dello spessore della pelle.

«Se questo animale vi punge dove la pelle è spessa, sentirete infatti un bruciore leggero, quasi trascurabile, mentre se vi pungono dove la pelle è più sottile, come l'incavo del gomito o quello del ginocchio, allora il dolore è decisamente più forte, tanto che potreste provare un intorpidimento degli arti».

Per quanto sempre più diffuso anche sulla nostra isola, gli esperti da sempre tendono a ridimensionare il panico provocato dai suoi avvistamenti, che stanno incrementando nel corso dell’ultime settimane.

Il verme cane ha infatti interagito con l’uomo per generazioni e per quanto sia una specie pericolosa – sicuramente da monitorare con una certa frequenza - fa parte della nostra fauna marina. Non è neppure dannosa come alcune delle specie aliene che sono giunte nel Mediterraneo, nel corso degli ultimi decenni, e se non disturbata risulta quasi innocua.
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