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Se vai verso Punta Raisi, la vedi e ti incanta: storie di una torre sul mare (da favola)

Risale alla prima metà del 1600. Nonostante il suo passato importante, oggi la torre conduce una vita normale, piatta, senza né alti né bassi: ecco la sua storia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 9 agosto 2025

Torre Pozzillo

L’utilizzo delle maiuscole o delle minuscole, o la scelta di una vocale, se non di una consonante, nella lingua italiana sono molto importanti, come anche l’intonazione.

Esempio 1: nonnò mi costringeva ad andare con lui in aeroporto a prendere quel prozio del nord che veniva a trovarci una volta l’anno. Questo soggetto ogniqualvolta metteva piede a Palermo voleva che lo portassimo a mangiare “gli arancini”.

Puntualmente chiedevo a nonnò perché li chiamasse in quello strano modo. «Lascialo stare - mi diceva - è malato».

Esempio 2: Quando io, nonnò e il prozio malato facevamo ritorno dall’aeroporto, all’altezza di Cinisi, vedevo sempre una bellissima spiaggia con un castelletto fascinosamente decadente e chiedevo se mi ci portassero. «Lasciala stare quella spiaggia» mi diceva nonnò «è piena di C/cinisi».

Ecco, forse colpa della maiuscola forse colpa dell’intonazione, questa risposta generava in me un’affermazione a doppio senso ove entrambi gli enunciati potevano essere verosimilmente credibili.

a) Quella spiaggia è piena di Cinisi, ovvero intrisa del paesaggio che la circonda, quindi anche intrisa dell’atmosfera tipica di Cinisi.

b) Quella spiaggia purtroppo è caduta nelle grinfie del turismo selvaggio, nella fattispecie presa di mira da una delegazione di turisti cinesi provenienti dalla regione del Qinghai, che ha deciso di invaderla per creare dentro il castello un centro commerciale che vende prodotti elettronici a costi abbattuti e set di valigie poliuretano.

Se, più da grandicello, non mi fossi armato di spirito d’avventura e tremila lire di benzina nel vespino probabilmente non avrei mai scoperto la verità.

Ebbene: a) Torre Pozzillo non è un castello… è una torre.

b) la sua spiaggia non è piena di cinesi (beh, forse qualcuno ogni tanto) ma semmai piena di palermitani, poiché per i palermitani (e non solo) è una delle più belle ed iconiche di tutto il circondario.

Tutto ha inizio molto tempo fa.

Per la spiaggia addirittura tantissimo tempo fa, precisamente quando Dio (Genesi 1:9-10) disse: “Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico luogo, e apparisca l'asciutto”.

Ebbene sì, Dio usava dire apparisca. E poi “Dio chiamò l’asciutto terra, e chiamò la raccolta dell’acqua dei mari. E Dio vide che questo era buono”. Cuntientu iddu, cuntienti tutti.

La torre Pozzillo (o Pizziddu per il nome della località) invece è un po’ più nutrica. Risale alla prima metà del 1600.

In Sicilia, in quei tempi, ci trovavamo ad affrontare un terribile piaga: il traffico. Già, il traffico di pirati, che per dirla come il maestro Camilleri ci stavano rompendo i cabbasisi.

È per questo motivo che vengono erette delle torri, sparse un po’ per tutto il perimetro isolano e che hanno la funzione di vedetta, ma anche di difesa.

Le prime compaiono precisamente nel 1553, dopo che il pirata Dagrut (un pezz’i curnut) espugna la città di Licata tenendola sotto assedio per una settimana.

A quel punto, come per tradizione continuano a fare anche i nostri politici, che corrono al riparo quando oramai il danno è fatto, il viceré Giovanni De Vega è costretto a prendere provvedimenti.

In qui giorni De Vega non è più un giovincello, è già un nonno-minkia, ma la pensata è buona e le torri funzionano. Pertanto, si decide pian piano, ogni quando arrivano i fondi del PNRR, di costruirne delle altre, o comunque convertire quelle già esistenti in torri di difesa.

Sappiamo, per esempio (un altro esempio), che nel 1578 questa torre non c’era ancora.

Non c’era perché ce lo dice Tiburzio Spannocchi, un rampollo di nobile famiglia senese che viene incaricato dal viceré Marcantonio Colonna di redigere un carteggio su fortificazioni ed impianti urbani delle maggiori città, al fine, proprio, di realizzare delle fortificazioni di difesa contro i pirati.

Neanche Camillo (complimenti per la fantasia) Camillani ce ne dà notizia. Il celebre architetto fiorentino - noto per aver diretto il montaggio della famosa Fontana Pretoria, progettata dal padre Franceso Camillani, e che la fantasia in verità doveva averla alla grande – durante un giro di ricognizione nel 1584 non ne riscontra l’esistenza.

Finalmente, anche se non ancora completata, nel 1625 compare nei registri della Deputazione del Regno di Sicilia, dove venivano indicati i relativi guardiani e “torrari”.

Da allora, passa da mano in mano tra mille vicissitudini, fino a quando nel 1970 viene restaurata. Tuttora è ancora uno dei luoghi di balneazione tra i più suggestivi della provincia di Palermo e molto frequentato.

Pirati non se ne sono visti più, almeno non provenienti dal mare. Ne è arrivato qualcuno dalla strada, a bordo di automobili, senza più cannoni ma subwoofer che sparano musica neomelodica.

Posteggiavano accanto alla torre (loro dicevano per tenerle compagnia), ma meglio soli che male accompagnati. Per fortuna qualcuno poi pensò di metterci una sbarra d’accesso e qualche altro però all’improvviso la fece scomparire.

Lo sanno tutti che non si lasciano le barre d’accesso incustodite. Chi da bambino non ha mai rubato una sbarra d’accesso?!

Allora, leva la sbarra metti la barriera (quando si dice metterci una pietra sopra). La barriera però era magica e capitava che la notte scomparisse anche questa, e il giorno ricomparivano le macchine posteggiate il chioschetto, dove tanti piccoli Saimon e Sciantal potevano trovare dei gelati freschi e dissetanti.

Oggi, per fortuna, la torre conduce una vita piatta, senza né alti né bassi. Al massimo, la notte, ci si imbatte in quattro ragazzi in cerchio e una chitarra, poi la mattina dopo arriva sempre qualche buonanima che raccoglie i mozzoni non suoi.

I bagnanti non hanno troppe pretese e fanno i bagnanti.

Qualcuno più audace si tuffa dalla famosa testa di polpo, alle spalle della torre. E vissero felici e contenti? Quasi. Perché una fiaba possa dirsi tale serve un lieto fine.

E il lieto fine è fresco fresco, di questo agosto, di qualche giorno fa, quando appare sulla torre una scritta nera fatta con la bomboletta, che raffigura un cuoricino e il nome di Dina.

Non c’è il principe in questa favola, ma la nobiltà non manca, e nemmeno il romanticismo, perché il nostro romantico marchese della Centoquattro ha pensato bene di esternare i suoi sentimenti per l’adorata Dina e farlo sapere a tutti noi. Ogni tanto ci torno a Torre Pizziddu.

Ci torno quando c’è poca gente, mi godo il tramonto e penso. E pensando guardo in alto e parlo con nonnò. Lo interrogo. Gli chiedo cosa possa essere passato nella mente del marchese della Centoquattro. «Lascialo stare,» mi risponde nonnò «è malato».

E vissero felici e contenti!
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