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Se vi sembra esagerato questo: tra trionfi e opulenza, l'originale Festino di Palermo

Il festino di Santa Rosalia che vediamo oggi dal 10 al 15 luglio a Palermo è soltanto una copia sbiadita di quello originale: definito "Lo spettacolo più bello d'Europa"

  • 8 luglio 2019

Il monumentale carro di Santa Rosalia del Festino del 1896 (Foto di Eugenio Interguglielmi)

"Parlare di Palermo senza fornire dettagli sui festeggiamenti in onore di Santa Rosalia, sarebbe come parlare di Napoli senza parlare di San Gennaro" (Giuseppe Pitrè nel suo "Feste patronali in Sicilia").

Per scrivere la storia del Festino non basterebbe un libro, tanti, infatti, sono i fatti e gli aneddoti da raccontare.

"‘U Fistinu" che annualmente si svolge dal 10 al 15 luglio a Palermo, è soltanto una copia sbiadita di quello che avveniva nei secoli passati.

Secondo le minuziose descri zioni di Onofrio Paruta, cronista del tempo, il 7 giugno 1625, un sabato, tutti i cittadini di Palermo furono invitati ad osservare un rigoroso digiuno, le reliquie di Santa Rosalia furono trasferite dal cofano di velluto cremisino, dove erano sta te poste nei mesi precedenti, in una cassa d’argento e cristallo e furono portate in trionfo dal palazzo Arcivescovile alla Cattedrale. Fu l’atto di nascita del Festino.

La festa organizzata quell’anno fu grandiosa e solenne e per renderla indimenticabile le autorità spesero i fondi residui, la peste, infatti, aveva impoverito ancor più la città.
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Lo sfarzo profuso non ebbe mai più uguali: le pareti dei palazzi che si affacciavano lungo la strada, erano interamente ricoperte da drappi di velluto, damasco, broccati e sete ricamate di perle, in un gioco di alternanze con tele dipinte che raffiguravano scene della vita della Santa, mentre alle finestre dei palazzi più ricchi erano esposti lucidi argenti, che riflettevano le fiamme dei ceri per l’illuminazione.

In Cattedrale ogni Cappella era rivestita con drappeggi ricamati in oro e argento, ogni paratura scendeva dal tetto e da ciascun arco pendeva una lampada d’argento.

Il Senato e la nobiltà non badarono a spese ed alle Maestranze impiegate per l’allestimento delle decorazioni e degli impianti scenografici, che si dipanavano lungo tutto percorso della processione, non fu risparmiata fatica: furono realizzati tanti archi trionfali quante erano le Corporazioni, allestiti altari e splendide fontane dalle quali zampillarono non solo acqua, ma anche vino, olio e latte, persino le barche a mare furono arricchite con drappi colorati.

In seguito, questo evento annuale fu da tutti definito, pomposo, unico nel suo genere, lo spettacolo più bello d’Europa.

I giorni del Festino furono narrati nel corso dei secoli non solo dai nostri storici contemporanei (nda. Villabianca, Mongitore, Pitrè) ma anche da viaggiatori stranieri (nda. Goethe, Dumas etc).

Un tempo, il Festino, era talmente importante che coloro che dovevano sposarsi e non abitavano a Palermo lo inserivano nei contratti matrimoniali come viaggio di nozze. All’inizio i festeggiamenti duravano solo tre giorni, nel 1701 furono estesi a quattro e nel 1743 si aggiunse il quinto giorno, confermato nel 1751 (Villabianca: "Diario Palermitano").

Nel 1783, con il pretesto di ristrettezze economiche della pubblica Amministrazione, il Vicerè di Sicilia, Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina, decretò che i cinque giorni si riducessero a tre. Fu come una scintilla scoccata sulla polveriera.

Il Senato e cittadinanza, turbati, protestarono gridando ed uno dei tanti cartelli attaccati per le strade minacciava: "O festa o testa!". Il Senato mandò al Re di Napoli un memoriale del Segretario del magistrato della città Don Emanuele La Placa al fine di annullare quel decreto.

La risposta arrivò a pochi giorni dall’inizio del Festino: il re annullava il decreto del vicerè Caracciolo. Questi si consolò pensando che non ci fosse il tempo per costruire un nuovo Carro.

Non fu così: si centuplicarono le braccia, si lavorò di giorno e di notte e nelle prime ore pomeridiane dell’11 luglio il Carro saliva glorioso e più glorioso ancora tornava la sera del 14 a Porta Felice tra le grida di gioia e di scherno nei confronti del Vicerè.

E i giorni del Festino continuarono ad essere cinque (Santi Gnoffo nel suo "Palermo: Leggende, Misteri, Piaceri").
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