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Seduti su una miniera (senza sfruttarla): la Sicilia un'immensa fonte di biogas

Una fonte superiore di circa 8 volte rispetto al fabbisogno necessario dell’intera popolazione umana, stiamo parlando di biomasse: scarti agricoli, di cibo, eccetera

  • 13 maggio 2019

Rifiuti organici

Energia da cibo e scarti agricoli: la Sicilia è una vera e propria “miniera” di biogas. Nella corsa alla transizione dall’utilizzo di fonti fossili a fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica, un ruolo importante è giocato dalle bioenergie.

Stiamo parlando delle biomasse (scarti agricoli e zootecnici, cibo, scarti alimentari ecc…), una fonte dove si nasconde, a livello mondiale, un fabbisogno energetico circa 8 volte superiore a quello necessario per l’intera popolazione umana.

Una vera e propria miniera che ha innescato strategie politiche per la promozione della produzione di energia da scarti agricoli, agro-industriali e di origine alimentare attraverso lo sfruttamento del biogas prodotto in specifici impianti detti di “digestione anaerobica”.

Si tratta di enormi silos sigillati, dove la biomassa viene sottoposta ad un naturale processo di degradazione che separa i volatili (i gas appunto) dalla fase solida (il digestato, che è un ottimo fertilizzante per l’agricoltura) e da una fase liquida.
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La purificazione del biogas inoltre permette di ottenere il biometano, gas con proprietà simili al metano naturale e dunque utilizzabile sia come carburante che per essere immesso direttamente nella rete nazionale.

Lo sfruttamento delle biomasse in sostanza trasforma i rifiuti in risorse, in un’ottica di economia circolare e contribuisce enormemente alla lotta all’emissione in atmosfera di gas climalteranti e alla riduzione dell’inquinamento: si pensi per esempio che in autunno, in Cina, gli incendi controllati dei campi giunti a fine stagione, contribuiscono per il 20% alla coltre di smog che annebbia le vicine grandi città del Paese.

Tenendo tutto questo a mente, è evidente che in zone dove il settore agricolo è piuttosto sviluppato, proprio come in Sicilia, pensare allo sviluppo di una filiera delle bioenergie, alla luce anche degli incentivi previsti dallo Stato, dovrebbe essere una priorità assoluta. In Sicilia del resto, secondo il 6^ Censimento agricoltura promosso dall’Istat nel 2010, vi sarebbero circa 220.000 imprese attive nel settore (~ 14% sul totale nazionale) con una copertura agricola di utilizzo di poco inferiore a 1.4 milioni di ettari (~ 11% sul totale nazionale).

Quali potenzialità nasconde dunque la nostra regione in termini di bioenergie? Ha risposto a questa domanda uno studio realizzato da un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Catania, che ha stimato il potenziale siciliano di biomassa agricola utile alla produzione di biogas e biometano.

La produzione annua di biomassa utile allo sfruttamento per fini bioenergetici sarebbe di circa 4 milioni di tonnellate.

Questa quantità, se sfruttata in impianti di digestione anaerobica, sarebbe in grado di generare 255 milioni Nm 3 (si legge normal metri cubi ed indica il volume occupato da un gas a pressione atmosferica di circa 1013 mb e temperatura di 0ºC, ndr) di biogas all’anno, equivalente a circa l’11% della produzione nazionale odierna, e capaci di produrre rispettivamente 408.072 MWh all’anno di energia elettrica e 305.672 MWh all’anno di energia termica.

La purificazione del biogas permetterebbe inoltre di produrre potenzialmente 145 milioni Nm 3 di biometano da utilizzare come carburante o per essere immessi nella rete nazionale.

Secondo i calcoli degli studiosi, a seconda della capacità impiantistica e dei diversi corrispettivi erogati, la forbice degli incassi riconosciuti dal Gestore nazionale dei Servizi Energetici si attesterebbe tra i 73 ed i 96 milioni di euro.

Lo studio dimostra, dati alla mano, come lo sfruttamento delle biomasse sia una grande opportunità economica ed energetica per la nostra regione, senza escludere poi il beneficio ambientale che se ne trarrebbe. Sono escluse tuttavia da questa ricerca altre sorgenti non agricole come i rifiuti urbani organici, le discariche e i fanghi da depurazione.

Tra queste varrebbe la pena però soffermarsi sulla prima. Gli scarti di cibo e rifiuti organici costituiscono all’incirca il 40% dei rifiuti urbani e tra qualche anno sarà obbligatorio raccoglierli separatamente in tutta Europa: in questo modo si eviterà la contaminazione delle altre frazioni merceologiche da recuperare, e si potrà garantire una filiera del riciclo volta a minimizzare gli impatti sull’ambiente e a destinare a recupero di materia (compost e dunque fertilizzanti) o energetico (biogas) il rifiuto organico. Gran parte del cibo buttato, tuttavia, è ancora commestibile.

A livello mondiale, lo spreco di cibo è responsabile dell’immissione in atmosfera di circa 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica: se lo spreco alimentare fosse uno Stato, questo sarebbe il terzo emettitore mondiale di CO 2 dopo Cina e Stati Uniti d’America.

È necessario dunque differenziare ovunque e al più presto i rifiuti organici, trattandoli adeguatamente per evitare interazioni con l’ambiente e creando una filiera del riciclo costituita da impianti di compostaggio e di digestione anaerobica per il recupero materiale ed energetico di questa frazione.

Da questo punto di vista la Sicilia è piuttosto indietro, ma si sta cercando di recuperare terreno. Nella nostra regione, nel 2017, sono state prodotte circa 217mila tonnellate di rifiuti organici differenziati, una quantità che è destinata ad aumentare, grazie all’implementazione (inesorabilmente lenta) del sistema di raccolta differenziata nei Comuni della nostra regione. Nel nostro territorio ci sono 13 impianti di compostaggio attivi che possono gestire fino a 327mila tonnellate di rifiuti l’anno.

Purtroppo sono pochissimi gli impianti di biogas funzionanti e praticamente nessuno gestisce la frazione organica dei rifiuti: una situazione che sembra destinata a cambiare come dimostrano gli 11 progetti presentati da privati all’Assessorato all’Ambiente, per investimenti di oltre 50 milioni di euro, ma in parte purtroppo bloccati da un’assurda bagarre politico-amministrativa (per assurdo invece sono stati autorizzati ampliamenti di discariche siciliane contro ogni logica in tema di gerarchia dei rifiuti e politiche comunitarie). Recentemente – per fortuna – anche Legambiente ed altre associazioni hanno riconosciuto l’importanza della realizzazione di questi impianti.

I motivi sono tanti, innanzitutto la digestione anaerobica attraverso la valorizzazione del rifiuto organico consente di ottenere compost di alta qualità che può servire a combattere il problema della perdita di suolo nel settore agricolo, come abbiamo detto il biogas catturato può essere poi utilizzato per fini energetici ed eventualmente trattato per ottenere biometano da immettere sulla rete nazionale, allo stesso modo la CO 2 prodotta può essere catturata rivenduta sul mercato anche per fini alimentari, infine il settore offrirebbe nuove e concrete opportunità in termini occupazionali. Cosa stiamo aspettando dunque?
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