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Storia di una "sacra reliquia" nascosta in un tascapane: Pirandello e lo stivale di Garibaldi

Fu Rocco Ricci Gramitto, zio materno di Luigi Pirandello, a conservare in casa lo stivale forato da un proiettile e insanguinato sfilato a Giuseppe Garibaldi. Ecco la sua storia

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 6 giugno 2021

Giuseppe Garibaldi ad Aspromonte

Lo studente universitario Luigi Pirandello arrivò a Roma nel 1887. La scelta della Capitale fu di fatto obbligata.

La famiglia di Pirandello pretese dal giovane Luigi che andasse a vivere nella casa dello zio materno, Rocco Ricci Gramitto (1834-1908). Lo pretese perché Luigi soffriva di nevrosi: aveva crisi d’ansia, palpitazioni, insonnia e anche umore atrabiliare.

Lo zio Rocco l’avrebbe attentamente sorvegliato giorno e notte mentre il nipote si sarebbe dedicato a quegli studi così intensi che Stefano, il padre di Luigi, sperava avrebbe presto interrotto per tornare a Girgenti ed occuparsi degli affari della famiglia, come sorvegliante nelle miniere di Comitini o per sovrintendere alle operazioni di imbarco dello zolfo a Porto Empedocle.

La casa di Rocco Ricci Gramitto, affacciata sul Tevere, in fondo alla via del Corso era molto dignitosa, come doveva essere quella di uno dei tanti viceprefetti della nuova Italia.

In un angolo ben illuminato e dentro una teca, come quelle che si vedono nei musei, Pirandello rivide lo stivale forato da un proiettile e insanguinato del Generale Giuseppe Garibaldi e la lettera al “caro Gramitto” dell’Eroe dei due Mondi.
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Una storia ben conosciuta in casa Pirandello, quella della “sacra reliquia” garibaldina sfilata da Rocco dalla gamba del Generale in Aspromonte e portata sino a Girgenti dopo che era rimasta ben custodita e nascosta in un tascapane.

Adesso era di nuovo, dopo lungo tempo, nelle mani del giovane Luigi Pirandello, che aveva già avuto tra le mani un altro cimelio risorgimentale: il primo tricolore che sventolò ad Agrigento.

Quel panno risorgimentale era stato cucito da sua madre, Caterina Ricci Gramitto, sorella di Rocco e poi, a rischio della morte, con quel vessillo antiborbonico era uscito per la via principale della città un altro degli ardimentosi giovani della famiglia: beffando i soldati borbonici, uno dei fratelli Gramitto, Innocenzo, l’aveva, infatti, fatto sventolare ad Agrigento, ben prima dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia.

L’aveva posto in pugno ad una statua che ancora oggi si innalza nel centro storico, accanto al portone di una chiesa dove una targa marmorea ne ricorda l’evento, sottolineando che quello fu il primo tricolore apparso in città. Quella bandiera oggi si può ammirare nella sala del Consiglio comunale di Agrigento.

Lo stivale di Garibaldi invece, da Agrigento, prese poi la via per Roma. Ma raccontiamola tutta la storia dello stivale di Garibaldi.

Rocco Ricci Gramitto - figlio di Giovanni- che era stato inviato in esilio dal governo borbonico per essere stato uno dei capi della rivoluzione del 1848 ad Agrigento - fu un garibaldino della prima ora.

Partecipò alla rivolta della Gancia, a Palermo e per questo ricercato per essere arrestato dal governo borbonico, ma riuscì a sottrarsi al carcere e su disposizione del comitato rivoluzionario si unì a Rosolino Pilo per animare la rivoluzione nella provincia agrigentina in vista dello sbarco dei Mille. Partecipò quindi alla battaglia di Milazzo accanto a Garibaldi nel 1860.

Nel 1862 lasciò ogni incarico e si unì ancora una volta a Garibaldi che era di nuovo sbarcato in Sicilia per reclutare volontari e marciare alla conquista di Roma. Venne allora nominato luogotenente.

Come è noto, il governo italiano ordinò a Garibaldi di fermarsi, ma il Generale passò lo stretto di Messina e proseguì, cosi in Aspromonte si trovarono schierati da un lato un nutrito contingente italiano comandato dal colonnello Emilio Pallavicini e dall’altro i volontari garibaldini. Vi fu una vivace scaramuccia e due schioppettate raggiunsero il Generale alla natica sinistra e al malleolo destro.

Mentre a Garibaldi venivano praticate le prime cure sul posto, Rocco Ricci Gramitto sfilò dal piede di Garibaldi lo stivale insanguinato che era stato forato da un proiettile e lo diede a Salvatore Indelicato, di Agrigento, detto “pispisedda”, cioè piccolino, un giovanottino di 14 anni, che lo custodì in un tascapane.

Rocco e altri, tra cui Stefano Pirandello, da Agrigento, padre dello scrittore agrigentino, vennero arrestati e portati in un carcere della Liguria. Il piccolo Salvatore Indelicato invece, forse per la sua tenera età, poté fare ritorno a casa e quindi portò con sé ad Agrigento lo stivale insanguinato di Garibaldi.

Poi Rocco Ricci Gramitto fu scarcerato, grazie ad una amnistia e fece ritorno a casa con Stefano Pirandello. Trionfali furono in città i festeggiamenti per il ritorno dei garibaldini. Rocco poté tornare in possesso dello stivale e lo conservò come sacra reliquia e come tale “venerata” ad Agrigento dai patrioti e dai cittadini. Inviò a Garibaldi a Caprera un suo libro di versi, “Capitoli”, e fece presente al Generale che aveva lui lo stivale.

Il Generale gradì l’opuscolo e ricambiò rispondendo con queste righe il 28 gennaio 1863: «Caro Gramitto, accetto riconoscente la dedica dei vostri bei versi e ve ne ringrazio, voi colla mente e col braccio avete dimostrato di qual santo affetto amate la patria. Gradite una mia stretta di mano, e tenete lo stivale che raccoglieste in Aspromonte per memoria del vostro G. Garibaldi».

Il 5 aprile del 1869 Rocco Ricci-Gramitto ricevette un’altra lettera.

Il signor Massimo Fioroni gli comunicava che aveva saputo «che lo stivale esiste nelle sue mani». Se ne rallegrava e nella stessa lettera trascrisse un’altra lettera, quella di di ringraziamento ricevuta da Garibaldi per il dono degli stivali.

Era infatti lui, Massimo Fioroni, proprietario d’un calzaturificio in Milano, l’autore e il donatore dello stivale. Fioroni faceva stampare le sue carte da lettera con un vistoso stivale, posto tra due medaglie di benemerenze industriali incorniciati dalla scritta «Aspromonte. M. Fioroni calzolaio autore dello stivale. Milano» (Piero Meli, Garibaldi l'eroe del Risorgimento "testimonial " a sua insaputa. Due atteggiamenti a confronto: il Sud commemora quello che il Nord commercializza", in L'araldo, 10 giugno 2020).

La stessa carta da lettera arrivata a Rocco Ricci Gramitto.

La “sacra reliquia” quindi era intanto diventata testimonial pubblicitario d’una industria calzaturiera . Nominato viceprefetto a Roma, Rocco portò con sé lo stivale e se ne privò solo per alcuni giorni durante l’Esposizione universale del 1884, quando venne messo in mostra nel padiglione del Risorgimento e visto da centinaia di migliaia di visitatori.

Dello stivale non si è dimenticato Pirandello quando scrisse il romanzo storico “I vecchi e i Giovani”, dove rivivono con altro nome anche quei suoi familiari che parteciparono ai moti risorgimentali. Lo stivale infatti si colloca nel romanzo tra le memorie risorgimentali familiari che come reliquie sono custodite da Mauro Mortara, nel camerone del Generale Laurentano a Valsanìa.

Ma più recentemente il figlio di Luigi Pirandello, Stefano, nel suo romanzo “Timor sacro” (2011) ha una pagina in cui, uno dei protagonisti, Simone, narra commosso e orgoglioso alla fidanzata di aver baciato il sangue di Garibaldi rappreso sul foro dello stivale donato al prozio materno, Rocco Ricci Gramitto.

Simone precisa che suo padre, «schieratili, i tre maschi e dietro le femmine, a ciascuno aveva consegnato la reliquia perché accostassero le labbra trepidanti al foro sul malleolo, contornato da quell’orlo rugginoso, rimasuglio reale – reale! – del preziosissimo sangue. Che vertigine al contatto!»..

Potrebbe trattarsi di un episodio raccontato da Luigi Pirandello al figlio Stefano e quindi nella realtà, Stefano Pirandello (nonno) avrebbe fatto baciare lo stivale ai figli, Lina, Luigi, Annetta, Innocenzo e Giovanni.

La famiglia Ricci Gramitto, tramite Innocenzo Ricci Gramitto, infine, donò lo stivale al Museo del Risorgimento, poco dopo la morte di Rocco avvenuta nel 1908. In quel museo possiamo ancora oggi ammirarlo.

Vi si nota un foro bruciacchiato, di tipo lacero-contuso, quale potrebbe causarlo un colpo di pistola, esploso a breve distanza, ossia tra un metro e mezzo e tre metri. In base alla localizzazione del foro nello stivale e della lesione ossea, la traiettoria del proiettile fu dall’alto in basso.
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