CINEMA E TV
Tra le vie della Sicilia nascono registi in erba: la scuola (senza banchi) del nuovo cinema
Una piccola rivoluzione che ha preso forma non nei grandi studi, ma tra i vicoli, nei cortili assolati, nelle terrazze urbane. Vi raccontiamo giovani registi emergenti

Proiezione cinematografica all'aperto
La pandemia ha segnato la fine di molte cose, ma anche il principio di altre. Tra queste, una piccola rivoluzione filmica che ha preso forma non nei grandi studi, ma tra i vicoli, nei cortili assolati, nei fondi rustici, nelle terrazze urbane e perfino nelle case in affitto su Airbnb. E se una volta si diceva "con pochi mezzi ma tante idee", oggi potremmo dire: con nessun mezzo ma infinite visioni.
Il Risveglio del Vulcano: giovani registi e micro-produzioni. È impossibile non partire da Giuseppe Schillaci, palermitano d’adozione, già noto per documentari densi di letteratura e marginalità, che nel 2023 ha autoprodotto il cortometraggio “La notte delle melanzane”, girato in una casa di campagna con un iPhone, una lampada da comodino e tanta voglia di poesia visiva.
In quella notte surreale, tra ortaggi parlanti e sogni contadini, si riflette un’intera metafisica siciliana. Poi c’è la folgorante Mariangela Rapisardi, classe 1995, catanese, che ha presentato il corto “U scrusciu d’a staciuni” (Il rumore della stagione) al Festival del Cinema Rurale di Niscemi – uno dei tanti piccoli festival nati come fiori di campo dopo la tempesta.
La Rapisardi racconta il silenzio assordante dell’inverno nell’entroterra siculo, mescolando narrazione e performance, con il ritmo di una ballata antica.
I Festival che resistono (e fioriscono) In Sicilia, dove ogni piazza è teatro e ogni chiesa un set, il cinema torna alle radici, ma non in senso nostalgico: piuttosto come riscoperta di riti, dialetti, identità.
Sono così nati – e cresciuti – piccoli festival che fanno il lavoro sporco (e meraviglioso) della scoperta. C'è “Visioni di Piana” a Piana degli Albanesi, dedicato al cinema etnolinguistico, dove si proiettano corti in arbëreshë, arabo-siculo e dialetto galloitalico. “Fermata CineLab” a Termini Imerese, nato in una ex stazione ferroviaria dismessa, oggi riconvertita in cinema all’aperto e laboratorio sociale.
"Corti tra le Eolie", festival galleggiante: ogni proiezione si svolge su una barca attraccata in una diversa isola, con rassegne dedicate alla sostenibilità, al mare, alla migrazione e ai miti.
E se vedessimo le cose da un nuovo punto di vista?
Ovvero se considerassimo l’’indipendenza come estetica, che succederebbe? Non si tratta più soltanto di mancanza di fondi. Il microbudget è diventato uno stile. Niente dolly? Si gira a mano. Niente steadycam? Si va di carrelli improvvisati su carrelli della spesa. Niente luci professionali? Entra in scena il sole siciliano, quel Caravaggio vivente che scolpisce i volti e infiamma i campi.
È un ritorno alle origini, come nei diari cinematografici di Pasolini o nei primi film di De Seta, dove la realtà non si costruiva ma si rivelava. Oggi quella rivelazione si chiama autoproduzione, e i nuovi autori siciliani sono narratori artigiani: scrivono, dirigono, montano, fanno il catering e, all’occorrenza, recitano pure.
Non per egocentrismo, ma per sopravvivenza creativa. Quindi la Sicilia potremmo considerarla come metafora! Dietro ogni inquadratura post-pandemica aleggia l’eco letteraria di una Sicilia che non vuole più essere solo sfondo, ma voce narrante. La Sicilia di Bufalino, dove «la realtà è una scusa per parlare d’altro».
La Sicilia di Camilleri, dove ogni parola è un’indagine sulla vita. Ma anche quella di una generazione che ha letto Elena Ferrante e vuole parlare di sé senza filtri, tra nevrosi urbane e tradizioni che pesano come una pietra lavica. Nei nuovi corti – visibili su YouTube, Instagram o direttamente tramite QR code sui muri dei quartieri – la Sicilia è madre, mostro, fata e fabbrica di storie.
È presente l’amore queer tra le agavi e i muretti a secco, le madri streghe che cucinano incantesimi con la ricetta delle frittelle, i padri ombra, le feste di paese come distopie lisergiche.
Si tratta di una Scuola Nuova … ma senza banchi. Questa ondata ha anche creato una “non-scuola” di cinema diffuso.
A Palermo, la "Scuola Popolare di Video Partecipato" insegna ai ragazzi di Ballarò a raccontare il loro mondo con uno smartphone e un microfono da karaoke.
A Siracusa, nel quartiere Borgata, il Collettivo Anapo organizza cineforum selvaggi con dibattiti a base di granite e semi di zucca.
In conclusione siamo davanti ad un cambiamento, una trasformazione di un cinema di necessità, ma anche di libertà! Il cinema indipendente siciliano post-pandemia è come un fico d’India che spunta tra le crepe di un muro sbrecciato: non chiede permesso, ma cresce. E punge. È un cinema che sa di salsedine, dialetto, leggende e dolori.
Un cinema che non imita più, ma inventa. Che non ha bisogno di approvazione, perché ha trovato nel proprio stesso limite la spinta per andare oltre. È il cinema che, in silenzio, sta ridisegnando il volto della narrazione mediterranea.
E forse, tra una giara spaccata e un drone di seconda mano, tra un bacio al tramonto e una lacrima nel campo di grano, sta nascendo davvero qualcosa di nuovo da vedere e da vivere.
Titoli consigliati da vedere online: “Fuori Rotta” di Letizia Bonfiglio – viaggio onirico tra Ortigia e Berlino, “Malacarne” di Gioele Costanzo – noir agrigentino senza pistole ma con molta sabbia, “Santuzza punk” di Lucrezia Zampogna – la patrona di Palermo come icona queer rock.
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