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Un barone siciliano, un castello e mille peripezie: nell'800 piantò vigneti sulla lava

Protagonista di questa storia è un discendente di una nobile dinastia, che si dedica alla scienza inseguendo il suo sogno. Il suo maniero è sempre baciato dal sole

Annamaria Grasso
Insegnante e storica dell'alimentazione siciliana
  • 24 ottobre 2022

Il castello di Solicchiata

Gli ingredienti della fiaba ci sono tutti: un barone (siciliano), il suo castello, l'impresa da compiere tra mille peripezie, il lieto fine con il coronamento di un sogno. Ma la storia in questione non è una fiaba bensì una magnifica realtà, cominciata secoli or sono, ancora oggi viva e in continuo progresso.

Il protagonista è il barone Felice II Spitaleri di Muglia, nato nel 1828, discendente da una antichissima e nobile dinastia, già presente nell’anno Mille sui campi di battaglia delle Crociate. La sua residenza è il Castello a Solicchiata, ridente contrada a pochi chilometri da Adrano, un comune sul versante sud ovest dell'Etna.

Difficile credere per i contemporanei del giovane barone che sulla lava (e a più di 800 m. s.l.m.) potessero attecchire vigneti, ma Felice Spitaleri, poco più che ventenne, ha idee moderne e innovative: vuole viaggiare, conoscere, studiare. Ha ricevuto in eredità dai suoi antenati un immenso patrimonio in feudi e attività commerciali, ma il settore che gli interessa di più è quello del vino italiano che in quell'epoca non godeva di grande considerazione, surclassato da quello francese.
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Per questo, parte per un grand tour dell'Europa (non turistico ma d'istruzione) e rimane folgorato dalla Francia e in particolare dal Bordeaux, la regione produttrice dell'omonimo vino.

Scopre, sorprendentemente, che il suolo di Bordeaux presentava le stesse caratteristiche di quello etneo: pietroso, terroso e persino così poco fertile da evidenziare la sofferenza dei vitigni, che però producevano un ottimo vino rosso, corposo e asciutto! Torna con le idee ben chiare: ha compreso le enormi potenzialità del terroir etneo, che ha le caratteristiche (microclima e mineralità del suolo) perfette per produrre vini di eccellenza. Così, nel 1848 il Barone Felice Spitaleri inizia la sfida al vino francese: l'avversario è forte ma non invincibile.

Ha capito che un vino straordinario può derivare solo dalla fusione di vitigni italici e francesi e comincia a importare viti Cabernet, Sauvignon, Pinot, Viognier, impiantandole con successo sui nostri terreni vulcanici. Si chiamano vitigni di acclimatazione e si aggiungono agli ottanta vitigni autoctoni messi a dimora sull'Etna, a diverse altitudini perché il motto del barone Felice è: “ il vitigno giusto al posto giusto".

Per farlo, sceglie fra i suoi feudi quello della contrada di Solicchiata, il cui nome significa “soleggiata”, incurante del fatto che i suoi nobili conterranei (poco lungimiranti) l'avessero soprannominata “’a munnizza" ( n.d.r. spazzatura), perché nel 1607 una colata lavica ne aveva distrutto tutte le coltivazioni. E finalmente, nel 1866, dal geniale spirito creativo del barone nasce l’Etna rosso, la cui formula sembra essere frutto di un’alchimia ma invece è chimica pura.

E solo la chimica, nuova scienza dell'Ottocento di cui il barone è appassionato studioso, poteva scoprire le leggi della fermentazione e correggere eventuali errori del processo di vinificazione. Così, dopo infinite sperimentazioni, ecco la ricetta perfetta di un vino simile al Bordeaux, la prima che avrà riconoscimenti, medaglie e premi nazionali e internazionali. La leggiamo nelle parole del nipote Arnaldo Spitaleri, autore della corposa opera dedicata ai vini dell'Etna.

Lasciato fermentare per due settimane con le bucce – è la tecnica francese, determinante per la sua qualità e longevità -, il vino veniva posto in botti di rovere francese dove si affinava dai dodici ai diciotto mesi e dopo due anni di permanenza in bottiglia era pronto per la vendita.

Da questo momento inizia l'escalation dei vini siciliani vulcanici e intorno al 1875, il barone Spitaleri si dedica a un nuovo progetto: la costruzione di una sede adeguata per l'azienda familiare ormai lanciata sui mercati. Non lo ferma neanche l'arrivo (1878) della tremenda fillossera che danneggia tutti i vigneti! Nella sua amata contrada Solicchiata, un monumentale edificio in stile medioevale, circondato da un fossato e accessibile da un ponte levatoio, diventa uno stabilimento enologico dove produrre vini dell'Etna, con l'ambizione di creare i migliori in assoluto.

E in effetti il barone Spitaleri vince la sua battaglia contro l'opinione generale che reputava l'impresa una mission impossibile: diventa il pioniere e paladino del Risorgimento vitivinicolo italiano ( e anche il più giovane senatore del Regno sabaudo ) e la sua dimora è il primo castello in Italia, sede di vinificazione.

Il passato e il presente si saldano, senza soluzione di continuità, grazie al lavoro proseguito dai discendenti della famiglia: il barone Arnaldo ne ha raccolto degnamente la preziosa eredità proiettandola già in un futuro carico di promesse.
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