Per Carmen Consoli tutto inizia da Palermo: "Santa Rosalia mi porta fortuna"
Dalla prima canzone registrata a San Martino delle Scale e il legame con la Santuzza al suo rapporto con la lingua siciliana. La "cantantessa" si racconta in esclusiva a Balarm
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«Il mio rapporto con Palermo è molto profondo, è il mio capoluogo. Per cui è pure mia Palermo, e lo dico con grande orgoglio e con grande decisione. Tra l’altro a me Santa Rosalia porta fortuna. Io sono nata il 4 settembre»: così Carmen Consoli, la nostra "cantantessa", racconta in esclusiva a Balarm il suo rapporto speciale con la città.
«Qui - aggiunge - ho avuto l’opportunità di registrare la mia prima canzone ("Quello che sento", ndr) ossia quella con cui sono entrata a Sanremo. L'ho registrata proprio qui a San Martino. Se non fosse stato per Palermo io forse non sarei stata qui». L'abbiamo intervistata a margine della conferenza all’università degli studi di Palermo, dal titolo “Poesia e musica in Sicilia, tra plurilinguismo e stratificazioni culturali”.
L'incontro è stato un’occasione di dialogo con gli studenti, insieme ai professori Sergio Bonazinga, coordinatore del DAMS e professore di etnomusicologia, e Giovanni Ruffino, docente di linguistica e presidente del Centro studi filologici e linguistici siciliani, in cui la cantante ha avuto modo di raccontarsi, sia dal punto di vista musicale che umano.
Si è parlato di lingua, identità, musica. La cantante ha raccontato i propri riferimenti culturali. «Ovviamente il siciliano è fondamento di identità ed è la mia lingua, la lingua di mio padre. I miei riferimenti sono Buttitta, tutti gli scrittori siciliani che anche se scrivevano in italiano fondamentalmente la poetica. La base è proprio quella. Anche nell’italiano, che è la lingua che parliamo, io trovo delle sfumature che provengono dalla nostra terra».
Sulla questione la cantante si è soffermata particolarmente, con la consapevolezza che una lingua porta con sé una storia, una cultura, una identità. «Per me l’utilizzo del siciliano è sentire la mia voce con altro tipo di sfumature. Canto in maniera diversa quando pronuncio il siciliano. Tra l'altro creo immagini poetiche diverse, perché a seconda della lingua in cui mi esprimo, io cambio anima. È vero, a seconda della lingua si cambia anima. Qualcuno diceva: parlare diverse lingue è come cambiare diverse vite».
Ad ogni lingua che la cantante sceglie di utilizzare nei suoi testi corrisponde una storia diversa da raccontare: «Quando canto in italiano, racconto me stessa e i testi sono più introspettivi. È come se sussurrassi all’orecchio di chi ascolta i miei pensieri.
Quando canto in siciliano, invece, faccio un racconto plurale. Emergono l’attivismo, la critica sociale, la volontà di fare protesta. Ed ecco che divento un po’ blues. Quando canto in lingue internazionali, invece, sono rock».
Il patrimonio culturale e linguistico siciliano affonda le sue radici in una commistione di culture che si sono susseguite nei secoli, a partire da quella greca, che la cantante omaggia riprendendo i versi di Teocrito sulla storia di Galatea. «Questa terra ha sempre accolto le diversità e ha tratto ricchezza dalla diversità. Basti pensare alla scuola poetica siciliana, o andando ancora più indietro, noi abbiamo il greco nel DNA: per esempio a me è piaciuto riprendere Teocrito, che è siracusano. in qualche modo questa lingua reca in se tutto ciò che origina l’italiano e anche il siciliano quindi ha una funzione importantissima, che prende molto più spazio delle altre cose.”
Oltre a Teocrito, c’è anche la riscoperta e lo studio di autrici donne. Ne è un esempio Nina Siciliana, i cui sonetti sono stati musicati dall’artista nell’ultimo album. Da qui, anche la discussione sull’identità femminile e sul ruolo marginale che le donne hanno sempre avuto all’interno dell’arte. Anche lei - racconta sempre rispondendo a una delle domande poste dagli studenti - ha dovuto fare i conti con chi ha provato a non farla scrivere, dandole un autore uomo. Lei invece ha sempre scelto di restare autentica e di non snaturarsi, abbracciando la complessità dei contenuti che ha voglia di regalare al mondo.
«Qui - aggiunge - ho avuto l’opportunità di registrare la mia prima canzone ("Quello che sento", ndr) ossia quella con cui sono entrata a Sanremo. L'ho registrata proprio qui a San Martino. Se non fosse stato per Palermo io forse non sarei stata qui». L'abbiamo intervistata a margine della conferenza all’università degli studi di Palermo, dal titolo “Poesia e musica in Sicilia, tra plurilinguismo e stratificazioni culturali”.
L'incontro è stato un’occasione di dialogo con gli studenti, insieme ai professori Sergio Bonazinga, coordinatore del DAMS e professore di etnomusicologia, e Giovanni Ruffino, docente di linguistica e presidente del Centro studi filologici e linguistici siciliani, in cui la cantante ha avuto modo di raccontarsi, sia dal punto di vista musicale che umano.
Si è parlato di lingua, identità, musica. La cantante ha raccontato i propri riferimenti culturali. «Ovviamente il siciliano è fondamento di identità ed è la mia lingua, la lingua di mio padre. I miei riferimenti sono Buttitta, tutti gli scrittori siciliani che anche se scrivevano in italiano fondamentalmente la poetica. La base è proprio quella. Anche nell’italiano, che è la lingua che parliamo, io trovo delle sfumature che provengono dalla nostra terra».
Sulla questione la cantante si è soffermata particolarmente, con la consapevolezza che una lingua porta con sé una storia, una cultura, una identità. «Per me l’utilizzo del siciliano è sentire la mia voce con altro tipo di sfumature. Canto in maniera diversa quando pronuncio il siciliano. Tra l'altro creo immagini poetiche diverse, perché a seconda della lingua in cui mi esprimo, io cambio anima. È vero, a seconda della lingua si cambia anima. Qualcuno diceva: parlare diverse lingue è come cambiare diverse vite».
Ad ogni lingua che la cantante sceglie di utilizzare nei suoi testi corrisponde una storia diversa da raccontare: «Quando canto in italiano, racconto me stessa e i testi sono più introspettivi. È come se sussurrassi all’orecchio di chi ascolta i miei pensieri.
Quando canto in siciliano, invece, faccio un racconto plurale. Emergono l’attivismo, la critica sociale, la volontà di fare protesta. Ed ecco che divento un po’ blues. Quando canto in lingue internazionali, invece, sono rock».
Il patrimonio culturale e linguistico siciliano affonda le sue radici in una commistione di culture che si sono susseguite nei secoli, a partire da quella greca, che la cantante omaggia riprendendo i versi di Teocrito sulla storia di Galatea. «Questa terra ha sempre accolto le diversità e ha tratto ricchezza dalla diversità. Basti pensare alla scuola poetica siciliana, o andando ancora più indietro, noi abbiamo il greco nel DNA: per esempio a me è piaciuto riprendere Teocrito, che è siracusano. in qualche modo questa lingua reca in se tutto ciò che origina l’italiano e anche il siciliano quindi ha una funzione importantissima, che prende molto più spazio delle altre cose.”
Oltre a Teocrito, c’è anche la riscoperta e lo studio di autrici donne. Ne è un esempio Nina Siciliana, i cui sonetti sono stati musicati dall’artista nell’ultimo album. Da qui, anche la discussione sull’identità femminile e sul ruolo marginale che le donne hanno sempre avuto all’interno dell’arte. Anche lei - racconta sempre rispondendo a una delle domande poste dagli studenti - ha dovuto fare i conti con chi ha provato a non farla scrivere, dandole un autore uomo. Lei invece ha sempre scelto di restare autentica e di non snaturarsi, abbracciando la complessità dei contenuti che ha voglia di regalare al mondo.
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