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A Bagheria c'era la "via Teatro" e un (vero) palco: la storia, dai nomi illustri al declino

Difficile da credere eppure quella delle filodrammatiche era un’occupazione, oggi divenuto un hobby, che coinvolgeva giovani dello spettacolo ormai famosi

Sara Abello
Giornalista
  • 13 ottobre 2022

Dentro i sottotetti di villa Palagonia

Avete presente il detto «si stava meglio quando si stava peggio»? A Bagheria è da ripetere come un mantra perchè purtroppo è proprio vero.

È risaputo che quanto ad autostima non ci superi nessuno, però è vero anche che in quel di Bagheria vi sia una lunghissima e comprovata tradizione artistica e culturale. Tuttavia non molti sanno che prima ancora del cinema, della fotografia, della poesia e della pittura, molto prima a dirla tutta, qui il vero "re" delle arti fosse il teatro.

Ovviamente avere il pane ha fatto crescere i denti a molti e, considerato che già nel XIX secolo a Baaria vi fosse un teatro comunale, uno vero intendo, aperto e fruibile, non è difficile comprendere come ciò abbia inevitabilmente favorito lo sviluppo dell’arte filodrammatica e musicale, contribuendo allo sbocciare di quei giovani che hanno fatto poi la storia della cultura e dell’economia bagherese.

Verdone, Nasca, Mancuso, Gagliardo e Scaduto sono solo alcuni dei cognomi noti e ben riconoscibili ancora oggi dai baarioti.
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Difficile da credere eppure quella delle filodrammatiche era un’occupazione, un hobby diremmo noi oggi, che coinvol- geva i giovani nomi illustri già prima, durante e dopo le due guerre mondiali, nonostante i tempi durissimi, o forse proprio a causa loro.

Avete presente l’attuale Teatro Branciforti?! Zona "Palazzu" per intenderci e, per capirci ancora meglio, quello che ogni tanto torna in auge con la notizia di una qualche gara d’appalto, che poi si dissolve come bolle di sapone, per l’affido dei lavori di ripristino che gli tolgano di dosso quella patina di degrado conferita dagli atti vandalici di cui è periodicamente vittima.

Ecco, c’è stato un tempo lontano in cui quello era il vero Teatro Comunale di Bagheria, quando era un luogo arredato e illuminato di tutto punto con lumi ad acetilene, chè a Bagheria non scordate che l’illuminazione elettrica è arrivata nel 1913 grazie alla ditta Rosolino Gagliardo, quel Rusulinu furria, di cui vi raccontai tempo fa.

Un luogo talmente importante per Bagheria da far sì che al vicolo che lo ospitava venisse dato proprio il nome di "via Teatro", oggi vicolo Teatro I e II le due viuzze che da sopra e da sotto "abbracciano" questi locali le cui porte continuano a restare chiuse.

Bisogna riportare anche però che dopo anni di successo, prima di diventare deposito di carri funebri - perchè dopo tanta gioia vissuta in quel luogo per la legge della compensazione questo fu il suo successivo utilizzo - il teatro venne chiuso proprio per mancanza di manutenzione da parte dell’Amministrazione Comunale. La maledizione di questo luogo direi.

I baarioti però non si perdono d’animo per cui, chiusa per forza di cose la parentesi del Teatro Comunale, nei luoghi della cassa rurale di risparmio che dovevano trovarsi lungo u stratunieddu, fondarono il circolo cattolico "Leone XIII", organizzato da due sacerdoti.

Non pensate ad un circolo elitario però, si trattava infatti di un gruppo di giovani, sia studenti che lavoratori, che si dedicarono proprio all’arte filodrammatica senza distinzione di ruoli, tutti potenziali attori, registi, direttori, tutti sullo stesso piano, tutti uniti da un’unica passione per la filodrammatica.

Certo i tempi erano quelli che erano per cui quando con la Grande Guerra quei locali servirono ad ospitare i profughi di Trento e Trieste, le “storielle” portate in scena dovettero passare in secondo piano.

Per fortuna Bagheria era la casa di uomini poliedrici e di ingegno, quindi il circolo non fu chiuso ma semplicemente trasferito nella bottega di un sellaio, ma non uno qualsiasi, Paolo Aiello era infatti il sellaio-filosofo...del resto era amico del poeta-cascavaddaru Ignazio Buttitta, quindi quando vi dico che a Bagheria c’è da sempre gente "particolare" potete credermi!

Finita la prima guerra mondiale, i filodrammatici baarioti poterono tornare a dedicarsi con più serenità alla loro passione nel cinema-teatro di don Domenico Lavore, dove si compì una vera e propria rivoluzione.

Sino a quel momento, come non vi sarà difficile immaginare, il teatro era stato prerogativa maschile, per cui anche nelle scene che richiedevano figure femminili, si ricorreva ai travestimenti o addirittura ad artisti del mestiere. Nel "Cinema-teatro Lavore" invece, per la prima volta, le scene furono calcate dalle giovani delle migliori famiglie che ebbero l’occasione di recitare in pubblico, probabilmente con un certo disappunto dei genitori. Ve lo dicevo io che Bagheria era più avanti oltre un secolo fa di oggi!

Un brutto giorno però, dopo tanto scalpore e lasciatemi dire anche "rivoluzione", il Lavore fu chiuso e trasformato in deposito di legname. Certo un destino più allegro del teatro comunale se ci pensate. Ovviamente questo costituì un blocco per i giovani filodrammatici che si trovarono così senza palcoscenico.

La parentesi, fortunatamente per loro, durò poco, e presto trovarono uno spazietto dentro il "Cinema Nazionale", vicino l’antico chiosco "nni Carminu".

Dall’epoca e sino ad oggi, sono tante le sale cinematografiche sorte a Bagheria, ma la più nota tra quelle che hanno ospitato, ed è tornata a fare, un palcoscenico, è il Cine Teatro Roma. La sua vita, la prima almeno, fu breve a causa del crollo del soffitto che ne causò l’inevitabile chiusura che durò a lungo.

Oggi, dopo anni bui, prima per l’interminabile restauro e poi per ragioni burocratiche, è tornato ad essere uno dei pochi, se non l’unico palcoscenico attivo sulla scena bagherese, accogliendo non più solo compagnie amatoriali ma anche spettacoli che con la loro risonanza riescono persino ad attirare il pubblico dalle zone limitrofe. Si dice anche «di necessità virtù», quindi nessuno di voi si stupirà del sorgere, in passato, di numerosi teatri all’aperto, oggi più modaioli che necessari.

Così nel 1918 nel parco di Villa Palagonia fu organizzata per la prima volta la rappresentazione della "Passione di Cristo". Purtroppo lo spettacolo però non andò bene perchè i baarioti dell’epoca, non propriamente abituati ad eventi del genere, si lasciarono prendere dall’entusiasmo e invasero il palcoscenico senza che le forze dell’ordine riuscissero a gestire la cosa, data la portata della folla.

Quella della Passione effettivamente sarebbe potuta diventare una rappresentazione ricorrente della tradizione baariota se vi fosse stata una presenza costante nel tempo di un palcoscenico. Un secondo tentativo di rappre- sentarla risale infatti al 1932, nell’atrio della scuola Bagnera, con addirittura scene, costumi e manovalanza arrivati dal Teatro Massimo di Palermo.

Nel 1934 un’altra versione fu organizzata nel cortile retrostante la scuola Cirincione, ancora una volta gestita magistralmente dai giovani baarioti.

Ci vollero vent’anni per riportare in scena la Passione di Cristo che, nella sua versione del 1954 rimase indelebile davvero nel ricordo dei presenti. Grandi sforzi organizzativi ed economici erano stati compiuti, ancora una volta il supporto del Teatro Massimo avrebbe dovuto dare vita ad una rappresentazione unica, nuovamente nell’atrio della scuola Bagnera, peccato però che, come spesso può avvenire quando si tengono rappresentazioni all’aperto, i rischi del maltempo, che in questo caso si concretizzarono, mandarono ogni programma all’aria, letteralmente.

Esperimento non riuscito direi. Tornando ai palcoscenici “al chiuso”, quello che proprio non vi aspettereste, è a Villa Palagonia... o meglio, negli ambienti sconosciuti ai più della Villa dei Mostri, nei piani alti insomma.

Vi confesso che io qualcosina avevo avuto modo di vederla, su altrui suggerimento, ed effettivamente nei sottotetti della Villa, dei nomi vagamente familiari campeggiano ancora oggi su una parete: Renato, Franco, Gigi, Pipitto. È stato di recente però che, sfogliando il volume sulle origini e l’evoluzione di Bagheria, scritto da Oreste Girgenti, mi sono imbattuta proprio in un paragrafetto sul "palcoscenico di Palazzo Palagonia", e ovviamente la matassa è stata improvvisamente sciolta nella mia testa.

Lì su infatti, questo gruppo di giovani talentuosi, diretti dal colonnello Achille Notarbartolo che con Franco e Pipitto D’Alessandro era tra i proprietari della villa, provavano le scene delle commedie di Goldoni che poi, pare, rappresentassero nella loggia, l’antica sala da pranzo ormai da tempo chiusa al pubblico, su una piattaforma realizzata alla buona proprio per l’occasione.

E oggi?! Nell’era dello streaming e dell’homevision sarebbe un errore credere che un palcoscenico, uno di quelli pubblici, sopra il quale edificare simbolicamente un reale senso di comunità, non sia più necessario o addirittura superato con i tempi. Non solo uno spazio preposto ad accogliere spettacoli o più moderne performance, più che altro un luogo in cui incontrarsi, confrontarsi e arricchirsi vicendevolmente.
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