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A Catania il "vero sindaco" è una santa: Agata, la donna che morì per rimanere pura

Quella dedicata alla patrona non è soltanto una festa, è un crocevia di emozioni che mischiano sacro e profano e che rinnovano per i catanesi sentimenti di giustizia

  • 28 gennaio 2020

La sfilata delle 'ntuppatedde a Catania per Sant'Agata (foto Massimo Vittorio)

Io e mia sorella siamo le prime delle famiglie Sciacca e Zafarana a essere nate e cresciute a Catania. In molte cose non soffro di quella sindrome comune a molti che è la “catanesitudine”, probabilmente per questa mia mancata radice, in altre, invece, mi lascio trasportare dalla follia di questa città e la sento mia, fin dentro le viscere.

Una cosa tra tutte che mi fa deporre le armi e ammettere il mio legame incondizionato con Catania è la festa di S. Agata. La vidi per la prima volta la sera del 4 Febbraio del 1995 in via Plebiscito quella via che, nella rinata Catania post eruzione della fine del 1600, fu la circonvallazione della città e che all’epoca la cingeva tutta, dal mare a Piazza Stesicoro.

Una via che non dorme mai, brulicante di persone e di “traffici”. La via Plebiscito, oggi, è la via del “popolo” del quartiere San Cristoforo. Lo taglia in parti uguali, quelli che stanno da un lato e quelli che stanno dall’altro. Io, per non sbagliare, ho comprato la mia casa in un palazzo che fa angolo, per stare un po’ qui e un po’ lì.
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Quella sera, proprio in quella via che sarebbe poi diventata la mia casa, fui investita da un’energia potentissima. Fu un’emozione così eccitante e che suscitò in me una tale curiosità che pensai che quella festa era troppo potente per non occuparmene. Iniziai a osservare, a chiedere, a farmi raccontare e scoprii una storia bellissima seppur tragica.

La storia di una ragazzina, nell’epoca del primo cristianesimo, che pur di rimanere fedele a se stessa preferì farsi torturare piuttosto che scendere a compromessi con un uomo che la voleva contro la sua volontà. Quell’orgoglio e quella tenacia mi spingevano a saperne ogni anno di più. E scoprii una festa pubblica, nel senso più letterale del termine.

Si parla della festa di S. Agata da metà gennaio a fine febbraio. S. Agata è il tema cittadino. Nei bar, nelle librerie, durante gli apertivi, al telefono. Chi la ama, chi la odia, chi ci specula, chi ne fa esempio di mancato di ordine pubblico, chi tira fuori i più fini pensatori pur di criticarla, chi si lamenta per il traffico e chi per la cera. Insomma, questa donna riesce da secoli a far parlare di sé e a fare da ago della bilancia degli umori della città.

Perché è una festa che dura in realtà quasi quattro giorni, anche se il giorno di Agata è uno solo, il 5 febbraio. Il tre febbraio le autorità cittadine “escono fuori” con le loro carrozze e percorrono una parte di Via Etnea, da piazza Duomo a piazza Stesicoro.

È lì nella piazza che accoglie le rovine romane che le autorità ascoltano cosa ha da dire la città. Si racconta che il tre febbraio era il giorno in cui si capiva se un’amministrazione era ben voluta o meno. C’era pure la libertà di lanciare qualche pomodoro se l’antipatia era incontenibile.

Un po’ alla maniera degli antichi greci con le tragedie. Catartica? Sì. Risolutrice? A metà. Il tre è anche il giorno de “I fochi ‘o ttri”, concerto di musica classica in piazza Duomo con fuochi d’artificio in sincronia. Belli? Molto. È ancora la vera festa? No.

Ed ecco che avvolta dai colori dell’alba di giorno quattro febbraio che Agata esce dalle sue stanze, varca la soglia della cattedrale e tra canti e migliaia di fazzoletti bianchi che si muovono avanti e indietro, si fa accompagnare dai suoi cittadini in giro per la città.
Sapete perché non li chiamo solo devoti? Perché una delle invocazioni alla Santa che più mi impressionò e che mi diede una piccola chiave di lettura dei catanesi è “facemuci n’applausu a prima cittadina di Catania” (facciamo un applauso alla prima cittadina di Catania).

I suoi devoti vedono lei come prima autorità, i nostri sindaci le sono sempre secondi. A volte penso che quasi le chiedano il permesso per stare al Palazzo degli Elefanti. Per la maggior parte dei catanesi il sindaco in realtà è una donna e si chiama Agata.

Il quattro è il giorno che preferisco di più: il giro che il fercolo fa viene chiamato giro esterno. Tocca le zone della città a cui sono più legata, la via Vittorio Emanuele dove c’è il liceo che ho frequentato, U passiaturi, da dove si vede il mare, via Umberto e la splendida piazza Carlo Alberto.

Piazza in cui viene “montata” ‘A Fera o Luni, lì i catanesi vanno a fare la spesa ogni giorno, comprano vestiti, frutta, verdura, prodotti esotici ed è lì che Agata entra come una regina, in una piazza immensa e popolare. Il prete della chiesa della Madonna del Carmelo le dedica una lunga messa con un’omelia sui diritti delle donne e ricomincia il suo giro.

Dopo la salita dei Cappuccini, pericolosa e affidata solo agli anziani, si imbocca la via Plebiscito, lunga, variegata e di tutti. Per percorrerla Agata impiega tutta la notte perché si lascia guardare e lascia ai suoi cittadini la libertà di fare notte, di arrostire carne alle quattro del mattino, di pensare che ancora sia presto per tornare a casa.

Uno dei momenti più emozionanti della “mia” festa di S. Agata è il passaggio del fercolo dalla porta Ferdinandea, conosciuta ai più come U Futtinu. All’ingresso della Santa in piazza Palestro cala un silenzio reverenziale e il passaggio dalla porta, che anticamente era custodia dagli stranieri che venivano da terra, ha un sapore magico e antico.

Accompagnata in cattedrale, già nelle mattinate del cinque, la si fa riposare qualche ora per poi rivederla alle 17:00 quando inizia il giro interno.

Il cinque febbraio è il giorno della luce. I devoti portano a spalla ceri accesi, di grandezza diversa in base “al peso” della grazia ricevuta e l’odore in città cambia. Diventa dolce, sa di cera e di torrone.

Ma il cinque è anche il giorno della Catania bene. Chi ha un balcone su via Etnea lo offre per vedere passare la Santa e fa trovare ai propri ospiti tabarè di minne e olivette di S. Agata, appoggiate sulla più bella tovaglia ricamata.
I fuochi del Borgo e il canto dell’aurora, ogni anno sempre più tardi. Povere Clarisse!

E per concludere una tre giorni senza giorno né notte Agata tornerà in cattedrale solo il sei in tarda mattinata, la si saluta senza tristezza perché la si rivedrà dopo otto giorni. Luminosa e con il giglio che fu del Bellini sul cuore.
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