DIARI DI VIAGGIO
Basta solo un giorno a Levanzo e te ne innamori: le (mille) cose da fare in 24 ore
Basta pochissimo per sentirsi a casa tra un mare splendido, calette da scoprire e piatti della tradizione con il pesce eseguiti alla perfezione. Un piccolo tour da non perdere

L'isola di Levanzo
Il mio capo però non la pensa come me. Dice che sono stressato, che do segni di squilibrio, che ho passato tutta l’estate dietro ad un monitor e che è arrivato, a metà settembre, per me, il tempo di prendermi n’anticchia di ferie (un giorno).
Anzi, ci pensò iddu stesso: "Tantillo, viaggio premio a Levanzo, la più piccola delle isole Egadi. Un vero paradiso terrestre!”. Vedi che cose, -pensai- ci misi una vita a crearmi il mio Eden ‘ncapo al divano e ora scopro dal mio capo ca si trova a n’avutra banna.
Comunque, mi faccio un’oretta e mezza di autobusso godendomi la compagnia di uno scatarratico gruppetto di vecchietti austriaci e giungo al porto di Trapani.
Per una qualche ragione misteriosa, nella mia famiglia c’è la strana usanza che quando uno piglia un traghetto (o qualsivoglia tipo di imbarcazione), s’avi prima a manciari una arancina. Pertanto devo rispettare la tradizione. «Abburro, grazie!».
A mezz’oretta di navigazione, accade che la presenza prolungata di lipidi e proteine stimola la secrezione di gastrina, un ormone che induce le cellule parietali dello stomaco a produrre più HCI (acido cloridico).
Detto in parole povere, mi acchiàna un corpazzo d’acidità che fuoriesce sottoforma di ruttino al sevoflurano capace di addormentare la signora francisi che sta viaggiando accanto a me.
Finalmente attracchiamo e scendo; la signora francisi prosegue il suo viaggio in coma farmacologico. Mi guardo intorno. Il mio capo (ahimè) ha ragione, lo spettacolo che mi si presenta di fronte è incredibile.
Dal porticciolo lo sguardo fugge verso il piccolissimo centro abitato bianco e blu che si sdraia sulla collina, tutto contornato da un muretto che ne segue il profilo delicato, come fosse quello del viso di una bellissima femmina.
Il mare di quel colore io non l’ho mai visto, forse è fatto con l’intelligenza artificiale, forse la notte gli buttano un qualche colorante per renderlo di quella tonalità.
È tutto splendido splendente, come nella canzone della Rettore. Proseguo per il vialetto, lasciandomi quel mare sempre a sinistra, fino al punto in cui la signora della casa mi ha dato appuntamento. Mi consegna le chiavi senza darmi a parlare e si smaterializza come La Madonna di Fatima dopo un’apparizione.
Allavanco il bagaglio sul letto e col telefono cerco l’anagramma di Levanzo. A 7 lettere non ce ne sono. A cinque lettere, sì: lanzo. Mi riacchiana la maledetta arancina! È arrivato il momento di aprire la finestra. Si affaccia sul porticciolo di Cala Dogana. L’acqua è così limpida che le barchette colorate sembrano galleggiare nel vuoto. Non perdo un secondo, corro a farmi un tuffo.
Nuotando, non sentivo questa sensazione di libertà dai primi bagni, quelli da picciriddo. Mi metto a fare il morto a galla, poi mi siddià e mi avvicino agli scogli, dove c’è un piccolo ruscello che scoppa in acqua e tutt’attorno migliaia di pesci. Immergo le mani e posso sentire nuotarli tra le mie dita. Potrei lavarmici la faccia coi pesci.
Basta, mi va curco. Mi risveglio, il pititto è in agguato e guarda caso è l’ora dell’aperitivo. Decido di fare un giro. Proprio sopra il porto dei traghetti, nel punto più panoramico di quel bellissimo muretto, da dove si vedono Favignana e alle spalle Trapani, ci sta una panetteria che il pomeriggio apre solo per due ore: dalle 18.00 alle 20.00.
È un punto di ritrovo per levanzari e non. È li che ci si riunisce per sorseggiare uno Spritz a 3.50 euro e gustare uno dei fantastici cabbuci conzati in mille e più modi. Mi dicono, però, che il tramonto più bello si vede dal Faraglione. 5 minuti di cammino, mi dice. Curnutu! Dopo una scalata alla Messner e aver sudato pure l’acqua del battesimo, giungo finalmente a destinazione. Il sole, sentendosi Van Gogh, coi raggi dipinge dei giallissimi girasoli nella montagna.
Sembra il luogo in cui il mondo finisce. La radiolina prende una schifezza, si sente solo trottolino amoroso. Me la godo lo stesso, poi è ora di cena e mi ritorna il pititto.
Ho sentito dire che c’è un posto dove fanno uno spaghetto alla bottarga che è una favola. Faccio la strada al contrario e non mi spiego com’è che se all’andata è stata tutta in salita al ritorno è pure tutta in salita.
Ci sono solo tre ristoranti, tutti buoni, tutti di pesce fresco, ma trovo quello mio. Come antipasto ordino il lattume di tonno fritto, per chi non lo sapesse la sacca spermatica del tonno maschio. Come primo, uno spaghetto alla bottarga (sacca ovarica del tonno), e innaffio tutto con un buon vino siciliano.
Proprio mentre sono al culmine dell’arricriamento, un signore levanzaro, sosia di Alessandro Haber, mi chiede come mi trovo. Rispondo "tutto bene" e gli racconto del bellissimo bagno a Cala Dogana. Diventa cupo in viso, triste, e mi spiega che quella è una delle spine nel fianco di tutti i levantesi.
Uno dei punti più belli di tutta Levanzo e di tutto il sud Italia purtroppo è inquinato da uno scarico fognario. Gli abitanti più e più volte hanno provato a sollevare la questione, anche attraverso proteste e petizioni, ma tutto è sempre finito in pasto al solito mostro burocratico della politica.
I turisti però non lo sanno e ci si fanno il bagno lo stesso. Ripenso a me che volevo lavarmi la faccia con i “pesci sotto il ruscello”. Arrivato al dessert vengo assalito da un dubbio atroce: ho mangiato la sacca spermatica del tonno e subito dopo le ovaie. E se sono rimasto incinta di un tonno?
Per un attimo ci credo e penso di chiamarlo Tonnasino. Poi pago il conto e corro a vedere uno spettacolo, aperto a tutti, dedicato a Rosa Balistreri, in un resort nella parte alta di Levanzo. La strada è in salita e la pendenza tipo del 99%. Domando quanto strada c’è. 5 minuti a piedi, mi dicono.
Sta vota non mi fazzo fottere! Conosco la signora Bizarri, una splendida ottantenne che sta aspettando la navetta. È sperta, mi accodo a lei e arrivo al resort fresco come un quarto di pollo. Posto bellissimo con piscina e un anfiteatro in pietra. Al bancone del bar un palermitano. Mi parla delle minchiate: panelle, arancine e che certe cose le sappiamo fare solo noi a Palermo. Gin Tonic e Rosa Balistreri.
Cullato dalla brezza marina della sera, assorbito dalla piccola comunità levantese, mi godo uno spettacolo su Rosa, tutto al femminile, mezzo cantato e mezzo recitato magistralmente.
Subito dopo ne inizia un altro, organizzato dall’associazione Libeccio, e che per quella sera prevede l’esibizione di un cabarettista bravissimo che usa solo le mani. La voce, e le mani dentro una cornice come fossero pupi siciliani. È incredibile come a volte due semplici mani possano ragionare meglio di tanti cristiani.
Becco Alessandro Haber e gli chiedo come una comunità così piccola possa esprimere tanta qualità. «Ci viene molta gente intelligente a Levanzo», mi dice.
È passato solo un giorno ma sembra una settimana, un mese, mi pare di starci da una vita. C’è spazio per un altro Gin Tonic, questa volta me lo godo sul muretto di Cala Dogana.
Guardo Levanzo e mi dichiaro: "Levanzo, tu sei bellissima e io non ti merito". Alla fine, riesco a tornare in camera, in qualche modo. È già mattina ma c’è tempo per l’ultimo giro.
Mi consigliano Cala Minnola, spiaggia arricchita da una verdissima pineta per gli amanti dell’ombra (i soliti 5 minuti a piedi), e un relitto romano nei fondali.
Manca mezz’ora al traghetto, quindi mi concedo pure l’ultimo pane conzato alla panetteria. Lì c’è anche Alessandro Haber. Lo scongiuro di non dirmi niente a proposito delle spiagge levantesi, mentre mangio.
Dal porticciolo, mentre aspetto di salpare, noto una villa bellissima, retrò. Non l’avevo vista prima. Si tratta di Villa Burgarella, ex Villa Florio, poi ricomprata da Miuccia Prada, quella dei vestiti di alta moda.
Non ci abbastava lo yacht, pure la villa. Così quando è nella villa si guarda lo yacht e quando è nello yacht si guarda la villa. Sto per ricascare nella mia umana povertà ma non posso, perché mi squilla il telefono con la suoneria di trottolino amoroso. È il mio capo che mi richiama alle armi.
Non rispondo, preferisco lasciarlo suonare e godermi Levanzo un’ultima volta. “Magari ti chiamerò trottolino amoroso dudù dadadà e il tuo nome sarà il nome di ogni città…”.
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