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C'erano moschee, palazzi, mercati e giardini: dov'è lo storico quartiere "Rabato" in Sicilia

Il consolidamento dell’elemento religioso fu uno dei momenti più importanti per l’affermazione degli arabi in Sicilia, per la nuova appartenenza alla "terra dei fedeli"

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 30 gennaio 2023

Il centro storico di Agrigento

I turisti che arrivano nel centro storico di Agrigento, scoprono che anche questa antica città siciliana ha il suo quartiere arabo e se facessero qualche ricerca scoprirebbero che il precedente nome della città, sino al 1927, fu quello di Girgenti, che derivava dall’arabo Kekent e inoltre verrebbero a sapere che Kerkent fu una delle capitali siciliane delle famiglie guerriere che conquistarono la Sicilia.

La più antica immagine di Agrigento medievale è un disegno anonimo del 1584, conservato nella Biblioteca Angelica di Roma; esso mostra il circuito delle mura entro le quali, tra le stradine anguste e tortuose di derivazione araba, si sviluppa l’agglomerato urbano. Con l’occupazione islamica dell’829, l’antica città greca di Akragas – per motivi difensivi si era ritirata sull’acropoli, identificata sulla collina.

Gli arabi trovarono una città ormai in decadenza rispetto al suo originario splendore; infatti, in quegli anni il terrore delle incursioni aveva costretto all'abbandono o quasi, della Valle come zona residenziale e si era quindi delineato il nuovo vettore di espansione verso occidente partendo dalla collina che sorge procedendo verso nord rispetto alla Valle dei Templi.
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Così sulla cresta ovest della collina, e precisamente dalla contrada che gli agrigentini ancora oggi chiamano Balatizzo, si espande e fortifica la nuova città, assumendo il nome arabo di Kerkent.

I primi anni di presenza araba sulla collina di Agrigento furono caratterizzati dallo sviluppo dell’architettura militare con la creazione di fortificazioni ( in particolare un castello in coma alla collina) la riparazione di mura preesistenti, la costruzione di torri di avvistamento e il miglioramento delle vie di comunicazione per l’approvvigionamento delle guarnigioni.

Nella città conquistata una delle prime esigenze dopo la fortificazione fu la costruzione di moschee che vennero alzate ex novo. Il consolidamento dell’elemento religioso fu uno degli elementi più importanti per l’affermazione degli arabi in Sicilia e per rendere manifesta la nuova appartenenza al dar al-Islam, la terra dei fedeli.

Insieme agli edifici religiosi i governanti arabi dotarono Agrigento di fonti d’acqua, mercati, edifici civili e cimiteri. Nelle campagne sorsero nuovi sistemi di irrigazione, un nuovo sistema di suddivisione delle terre che limitava il latifondo e soprattutto si ebbe l’introduzione di nuove colture.

Le moschee, i palazzi, i mercati, le strade pavimentate, le fontane e i giardini tanto glorificate dai racconti dei viaggiatori e dalla letteratura che conosciamo, purtroppo non ritrovano un riscontro reale ad Agrigento.

Gli edifici arabi furono distrutti progressivamente subendo una vera e propria damnatio memoriae, una rivincita socioculturale che portò alla distruzione della maggior parte degli edifici o alla riconversione degli stessi in chiese, cappelle e varie costruzioni civili.

Così da tempo non si individuano più ad Agrigento quello che gli Arabi hanno realizzato, ma nella toponomastica agrigentina rimane la memoria del primitivo insediamento arabo, chiamato ancora oggi Rabato, da Rabad, che vuol dire sobborgo fuori le mura.

Il quartiere Rabato anche ancora oggi presenta una struttura insediativa complessa, in cui si fondono i caratteri tipo- morfologici di derivazione islamica con quelli di matrice latina e cristiana.

La città araba era divisa in rioni (madina) e in borghi detti ‘rabati’ Il Rabato di Kerkent (Agrigento) era costituito da una via centrale (shari) - l’attuale via Garibaldi - che serviva per la circolazione interna e lungo la quale c’erano gli edifici pubblici e le botteghe e le strade secondarie (zuqāq).

In stradine e vicoli, spesso ciechi (aziqqa), e nei cortili (ribah) vennero costruite le case degli agrigentini che si spostarono dalla Valle dei Templi alla collina. La città doveva essere così divisa: il centro religioso amministrativo, chiamato medina; il quartiere degli Schiavoni, cioè dei mercanti; il Rabato, ossia il sobborgo fuori le mura da cui partivano anche le vie (soul) che portavano ai mercati ed anche la via che portava al porto che era stato spostato dagli Arabi nell’attuale sito di Porto Empedocle.

Lungo le strade c’era una fitta rete sotterranea di pozzi, canali e gallerie filtranti (qanāt) che alimentavano d’acqua l’intera città, frutto di un sapiente sfruttamento irriguo delle acque sorgive e sotterranee del territorio. Le case erano “casalini petrosi” che gli arabi chiamavano grubi. Si tratta di grotte scavate dall'uomo per gli usi più vari (soprattutto abitazioni, ma anche deposito di derrate, cantina, stalla).

Quando la popolazione agrigentina si trasferì sulla collina preferì abitare in queste case scavate nella roccia perché erano più sicure e duravano più a lungo. Lo scavo della grotta non rendeva necessario l'acquisto di legname da costruzione né il suo trasporto e non presentava eccessive difficoltà di realizzazione, perché la roccia che veniva scavata era di tufo arenario che è piuttosto friabile.

Il vivere in grotta rispondeva all’esigenza di poter disporre di una abitazione più sicura, perché nascosta, non esposta al rischio del fuoco, di maggior affidabilità per le sue qualità statiche e di maggiore economicità, per il modo di costruire, detto “per via di levare”, perché garantiva rapidità di realizzazione e risparmio dei materiali. Si tratta quindi di grotte incavate nella roccia di tufo arenario I poveri vivevano in case terrane, mentre le case delle famiglie più ricche vennero sopraelevate e avevano quindi uno o due piani superiori.

La zona giorno era posta a piano terra, mentre la zona notte era al piano superiore. Erano quindi costituite da una stanza a primo piano destinata a soggiorno e da stanze superiori costituite da camere da letto. Al piano superiore si accedeva da una scala esterna.

Le abitazioni avevano muri in pietrame assemblato con malta di gesso. I solai e le coperture erano realizzati con travi in legno e tavolato. Le pareti interne venivano rivestite con terra seccata al sole e paglia. Le pareti esterne, che si affacciavano nei cortili, erano ricoperte di gesso.

La casa araba aveva uno spazio accogliente per l’intimità della famiglia e un cortile intorno al quale si organizzano le stanze che lo circondano per tre lati e l’ingresso esterno che, per ragioni di riservatezza, era più distante dall’ingresso interno. Le varie abitazioni si aggregavano intorno ad articolati cortili. Tali cortili si trovavano ad altezze diverse ed erano uniti tra loro da un sistema di scale.

Nella città raccolta dentro le mura, che la rendono simile ad una fortezza, la vita sociale di relazione e soprattutto di lavoro, si svolgeva nelle strade - stretti ed affollati souk - e nelle vie del mercato, lungo le quali si svolgevano le attività commerciali della città. Vi erano i quartieri dei mercanti e degli artigiani, dei pescivendoli, ecc.

Per le strette strade tortuose, oltre ai pedoni e ai cavalieri, transitavano anche greggi, mandrie, asini e cavalli, cammelli. I commerci erano direzionati soprattutto verso l’Ifriqiya e altri paesi musulmani ma anche verso le città tirreniche dell’Italia meridionale. Elio Di Bella
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