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Chi fa da sé fa per tre (ma diventa cieco): i tabù in Sicilia se sceglievi di "amarti da solo"

Un racconto tra i banchi di scuola, non molti anni fa, ci fa fare un salto nel tempo alle curiose origini e alle storie legate a una pratica vecchia come il mondo

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 7 giugno 2023

Frate Attilio insegnava religione, portava un paio di occhiali rotondi con le lenti a fondo di bottiglia, e pure se ciecato era campione mondiale di tiro del cancellino e scoppoloni radiocomandati che arrivavano fino all’ultimo banco.

Il professore Terranova diversamente insegnava storia, indossava profumi francesi e tutte le professoresse per una scusa o per l’altra venivano a bussare in classe perché avevano sempre bisogno di lui. L’anno della terza media purtroppo scoppiò un fastidioso scandalo perché il mio compagno Carollo si fece incocciare - che da noi significa beccare- in bagno con il Postalmarket ad amarsi da solo.

Subito furono convocati gli altissimi membri del Tribunale della Santissima Inquisizione per instituire il processo contro il reo che si era macchiato di impudica colpa.

Frate Attilio, all’accusa, sosteneva che se Carollo avesse continuato con quelle vastasate sarebbe diventato presto cieco. Il professore Terranova, alla difesa, controbatteva tirando in ballo un suo amico greco di nome Epicuro secondo cui “è stolto chiedere agli dei ciò che ci si può procurare da soli”.
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E sarebbe sicuramente finita a schifìo se proprio Terranova non avesse costruito un’arringa mirata smontare una credenza così radicata che da tempi immemori collega il troppo amore per sé stessi alla cecità.

A parte numerose statuette e pitture preistoriche a raffigurare qualche antenato di Carollo, il professore spiegò che già i sumeri erano praticanti di questa costumanza e che la usavano come una sorta di allenamento prima del grande appuntamento.

Gli egizi addirittura credevano che il dio Atum proprio nel gesto di amarsi da solo avesse creato l’universo. Come se non bastasse il Nilo altro non era che il risultato della conclusiva esplosione di gioia, e ogni volta che ci stava una cerimonia sulla riva del fiume sacro il faraone era chiamato anche lui ad amarsi da solo davanti a tutti.

Altro che figlio di imbianchino, Carollo era di nobili discendenze! Gli antichi greci la chiamavano anaphlan e secondo loro era un’invenzione del dio Hermes.

Eh già, dovete sapere che suo figlio Pan si era preso una cotta per la bella Eco che invece non se lo filava manco di striscio. E proprio per alleviare le sofferenze dell’amor non corrisposto, Hermes decise di insegnargli questo trucchetto che gli avrebbe tolto le occhiaie e ridato il sonno la notte.

I Cinici - così si chiamava la scuola del filosofo Diogene - nientepopodimeno pare si riunissero nelle Agorà per farsi le “anaphlan” in compagnia… più che acquisire dottrine questi perdevano diottrie.

I romani al contrario non ne facevano menzione, anzi un po’ la schifiavano. Il poeta Marziale ce ne parla come una forma di liberazione delle classi inferiori, che al massimo si concedevano gli schiavi davanti al calendario di Poppea.

L’intolleranza cominciò a svilupparsi tra la fine del '400 e l’inizio del '500 quando la chiesa decise che “anaphlan” basta più. Va bene, dici, ma se per tutti questi secoli non ci sono stati problemi di vista - Polifemo a parte - perché di punto in bianco sta cosa dell’orbità?

Ebbene, la verità è che ci colpa un opuscoletto inglese del 1712 ispirato alle teorie di un teologo olandese, morto qualche anno prima, di nome Balthasar Bekker. Secondo questo signore volersi troppo bene avrebbe potuto provocare: impotenza, gonorrea, epilessia e cecità.

Da quel momento in poi la teoria prese piede venendo diffusa da altri studiosi. Prima fu lo svizzero Tissot -che non costruiva orologi ma faceva il dottore- ad associare l’autoreferenziale passatempo alla scarsa vista dei suoi pazienti. Dopo di lui ci calò la briscola la predicatrice statunitense Ellen Gould White che era una gran catastrofista e diceva che si sarebbe andati incontro a varie malattie al fegato e ai polmoni, nevralgie, reumatismi, catarro, debolezza alla colonna vertebrale, nei casi più gravi la morte.

Infine arrivò la ciliegina sulla torta di John Kellog.

No, se avete pensato a ai Korn Flakes non vi siete sbagliati affatto. John apparteneva alla chiesa Avventista del Settimo Giorno, faceva anche lui il medico di professione e dichiarò guerra all’ultimo sangue a dolci e bacon, perché secondo lui erano altamente afrodisiaci e facevano venire malepensate.

Se la prese così seriamente questa cosa che costrinse sua moglie Elle a 42 anni di castità ed inventò i famosi fiocchi di mais con la finalità di togliere dalle tavole americane gli odiati cibi a luci rosse.

La filippica del professore non lasciò scampo al tentativo inquisitoriale, anche perché se fosse stato vero che “amarsi un po’” comportava quelle conseguenze, allora frate Attilio che ci vedeva come una talpa doveva avere tutta la collezione di Postalmarket dal 1959 fino ai giorni nostri.

Le accuse vennero ridimensionate e Carollo se la cavò con cinque "Atto di dolore" e cinque "Angioletto benedetto" dietro la lavagna; non prima però di andare a ringraziare il suo salvatore e chiedergli come ci fosse riuscito.

“Ricordatillo,” gli rispose Terranova, “chi fa da sé fa per tre…”
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