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Con la "pinnuzza ru papa", era sciarra assicurata: le curiosità sulle carte siciliane

Secondo una delle teorie più interessanti che vi raccontiamo qui i quattro semi delle carte siciliane - denari, spade, coppe e bastoni - rappresentavano le classi sociali

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 13 novembre 2021

Carte siciliane

"In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque".

La prima cosa che si evince leggendo i primi due versetti dell’Antico Testamento è che tutta questa imponente paranoia era decretata dal fatto che ancora non erano state inventate le carte siciliane. Aristotele diceva che vincere una guerra non basta; è più importante organizzare la pace.

È evidente che Aristotele qualche partita a briscola con Platone, Alessandro Magno e Dione, se la sarà fatta perché sapeva troppo bene che vincere non basta, la più cosa importante è placare le ammazzatine che scoppiano ogni volta che le carte si posano sul tavolo. A dimostrazione del fatto c’è l’aggravante che Aristotele vive un anno intero ad Asso, una cittadina in Turchia fondata nell’VIII a.C.

In buona sostanza quando ci sono carte di mezzo, che siano siciliane, napoletane, genovesi, piacentine, sarde o lombarde (perdonino i signori re dei rispettivi mazzi se ne ho scordato qualche variante) c’è divertimento assicurato ma anche sciarre.
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Chi non ha mai perso un caffè o pochi spiccioli a carte?

Personalmente, che a scopa non sono aquila, non posso dimenticare la faccia triste che faceva Maria Montessori delle vecchie mille lire ogni volta che perdevo. Vedendola tra le mani di un altro mi accorgevo che pure Guglielmo Marconi delle duemila lire ci restava male per la perdita, e di tutta risposta gli dicevo: "dì a Maria che francamente me ne infischio".

In fondo non era tutta questa grande perdita. Ciance a parte, dovete sapere che la storia di questo dolcemente demoniaco strumento si perde nel tempo e non ci sono sicurezze.

Quelle che conosciamo noi, cioè io sono siciliano e parlo per quelle siciliane, sono molto probabilmente attribuibili agli arabi: quelli erano bravi a contare e contavano pure nei giochi.

Siamo in pieno Medioevo e la Spagna è occupata dagli arabi, e tale resterà almeno fino a che Ferdinando il Cattolico e sua moglie - nello stesso momento che in America Cristoforo Colombo si fa trip mentali sulle Indie - inventano un bruttissimo gioco di società chiamato "Tribunale della Santissima Inquisizione".

È il 1492 che i reali attuano la Reconquista spagnola sfrattando così gli arabi al completo: dotti, medici e sapienti. Però qualcosa la lasciano questi arabi, anzi ne lasciano tantissime e tra queste anche le carte da gioco.

La prima città a produrre le moderne carte da gioco (naibbe si chiamavano) è Barcellona nel 1377: non ci vorrà molto che le carte dilagheranno in tutta Europa, in primis nelle colonie spagnole e quindi anche in Campania e in Sicilia.

Capita la maniata, cioè compreso che l’azzardo era bello, ci vorrà ancora meno affinché i nobili cominceranno a giocarsi le proprietà e i poveri i denti cariati che gli metteva in mano il barbiere (ai tempi il dentista lo faceva il barbiere).

Come tutti saprete, sono quattro i semi delle carte siciliane: Darâhim (denari), Suyûf (spade), Tûmân (coppe), Jawkân (bastoni).

Secondo una delle teorie più interessanti questi quattro semi rappresentavano le classi sociali: Denari i mercanti, Spade i soldati, Coppe il clero, e Bastoni i contadini.

Poi, ognuno ne prendeva il suo mazzo si faceva i film mentali: il dieci di spade diventava così Re Ferdinando a Napoli, Federico II a Palermo e via discorrendo fino al cinque di denari (almeno nella versione vecchia del mazzo) che sembra contenere la testa di Garibaldi.

Come queste, ci sono tante altre divagazioni che resistono nel tempo e che continuano a colorare le nostre tavole imbandite di “scaccio” (frutta secca varia, calia e simenza) e folclore, come per esempio l’asso di denari che può diventare sia “U russu i l’uovo”, il rosso dell’uovo per il colore, sia a pariedda, ovvero la padella per via della forma.

La carta più bella in assoluto, tuttavia, rimane sempre è comunque l’asso di bastoni dall’inevitabile richiamo mascolino che diventava "a pinnuzza ru papa".

Perdoni la Santa Sede ma si tratta di innocenti tradizioni che non vogliono offendere nessuno… Già la vita era difficile, vuoi togliere un po’ ironia pure mentre si gioca a carte!?

E per ritornare all’asso di Bastoni, una delle frasi più celebri che si sentono enunciare agli agguerritissimi vecchietti che riscattano il vigor perduto a colpi di assi battuti a terra è: “L’assu cari”, letteralmente l’asso cade, ma per i siciliani vuol dire molto di più. In ogni città c’è una piazza o dei cortili dove è facile trovare anziani, o non, farsi una innocua partita a carte.

La mia preferita (e vi sto facendo uno spoiler) rimane una zona alberata di Piazza Indipendenza, proprio ai piedi del Palazzo Reale, dove i signori vecchietti incatenano pure le sedie ai tronchi degli alberi per non farsele fregare e si fanno le meglio giocate.

Se vi capita di trovarvi a Palermo spendete qualche minuto a godervi la scena e pensate che meglio le briscole di oggi che i duelli di ieri. E se sentite volare qualche parola colorita non ci fate caso, in fondo la vita va presa con leggerezza e l’asso cade sempre.
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