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Da quelli artigianali al "carruzzuni": perchè i monopattini a Palermo ci sono sempre stati

Gaetano Basile, storico e scrittore, ci racconta come i ragazzi si costruivano, nel primo dopoguerra, il proprio monopattino artigianale: «Anch'io me ne costruii uno»

  • 19 novembre 2021

Forse i più giovani non sanno che l’invenzione del monopattino non è una conquista degli anni 2000.

Vero è che oggi ci muoviamo da un angolo all’altro della città come schegge grazie alla tecnologia motorizzata degli stessi ma un tempo, addirittura, il monopattino ciascun ragazzino se lo costruiva personalmente.

Ancora oggi c’è chi ricorda questi giocattoli artigianali che, nell’immediato dopoguerra, erano la felicità dei più piccoli a dispetto dei pochi mezzi a disposizione.

«Io stesso me ne costruii uno - ci ha raccontato Gaetano Basile, giornalista e scrittore -. Cominciarono a spuntare nel primo dopoguerra e ogni ragazzino provava a farsene uno.

Il difficile, per prima cosa, era trovare le assi di legno, difficile da recuperare per strada, per questo ci si rivolgeva a qualche falegname.

La tappa successiva era passare da qualche sfascio per recuperare i cuscinetti a sfera dismessi da rottami di auto; a questo punto si assemblavano le due assi di legno, tenute insieme da una cerniera, come quelle degli infissi per intenderci, e le rotelle si posizionavano due davanti e due dietro.
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Il manubrio era fatto, dulcis in fundo, da un semplice manico di scopa: e il monopattino era pronto.

Le rifiniture non erano molto importanti, si badava poco all’aspetto estetico: era importante un passaggio con la carta vetrata sulle assi di legno, per evitare schegge e sporgenze, per il resto solo i più meticolosi definivano la struttura con un bel tocco di olio di lino.

Per alcuni anni la costruzione di un monopattino artigianale fu una delle attività principali tra noi ragazzi fino al passaggio al così detto carruzzuni che altro non era che l’antesignano del bob.

Era costituito da una cassa di legno da imballaggio, anche questa recuperata per strada, sostenuta dalla parte inferiore della stessa struttura che costituiva il monopattino; lo sterzo si realizzava con un asse di legno e una cordicella che, teoricamente, avrebbe favorito le sterzate.

Nella realtà, invece, ad ogni curva si veniva sbalzati fuori da questa cassa.

I più bravi ne realizzavano pure a due posti ma il livello di pericolosità rimaneva lo stesso elevatissimo. Mancavano i freni, ovviamente, così come nel monopattino e si frenava con i piedi.

Ricordiamo che era il periodo del dopo guerra e all’epoca consumare il tacchi delle scarpe, spesso unico paio che si aveva a disposizione, non era cosa gradita in famiglia; oltre al fatto di rischiare seriamente di schiantarsi non proprio contro autovetture, poiché ne circolavano poche all’epoca, ma contro i carretti si.

Il divertimento con il “carrozzone” consisteva nel portarlo su un altopiano e poi scendere a tutta velocità. Esemplari di questi giochi fatta da noi stessi se ne videro fino agli anni ’56 circa, poi vennero sostituiti dalle automobiline a pedali e dalle prime biciclette».

Nella memoria, però, come dicevamo, di chi ha vissuto quegli anni il ricordo è ancora vivo e vissuto anche con una certa quota di nostalgia. Tracce storiche e anche cinematografiche, però, sono ancora custodite a Bologna nei locali della Cineteca.

«Con mio sommo piacere - ci ha raccontato Gaetano Basile, che è anche uno storico - qualche tempo fa ho potuto rivivere, attraverso frammenti dell’epoca impressi su pellicola, quelle atmosfere.

A Bologna si trovano tantissime registrazioni amatoriali risalenti a quegli anni, anche provenienti da Palermo, che mostrano, in bianco e nero, ragazzi con i loro monopattini artigianali potremmo definirli».
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