CINEMA E TV
Da turista ci finivi se ti perdevi, oggi diventa set: dieci anni di Danisinni (in un film)
Negli ultimi anni il quartiere di Palermo si è aperto al resto del mondo. Ora la domanda è quali spazi dedicare ai bimbi: "Il castello indistruttibile" prova a dare una risposta

Una scena del film "Il Castello Indistruttibile"
Dieci anni fa, chiunque arrivasse a Danisinni – il quartiere che sorge in una zona nevralgica del centro storico di Palermo e allo stesso tempo quasi un piccolo villaggio isolato dal resto della città – sentiva d’essere «lo straniero nel cortile di una casa».
Oggi, il volto di quella piazza, di quelle case quasi nascoste, è cambiato, si sta «aprendo di più alla città, ai turisti».
Parola di Danny Biancardi, Virginia Nardelli e Stefano La Rosa, i registi di «Il castello indistruttibile», il film – frutto di una co-produzione franco-italiana, prodotto da ZaLab e dalla francese Société du Sensible, e distribuito da ZaLab con il supporto del Ministero della Cultura e Siae nell’ambito del programma #PerChiCrea – interamente girato nel quartiere "dimenticato" di Palermo.
Sabato 20 settembre, alle 20.30, nel chiostro Sant’Anna della Galleria d’arte moderna di Palermo, il lungometraggio sarà proiettato all’interno del Sole Luna Doc Film Festival.
Tutto ha inizio nel 2016, quando Danny Biancardi e Virginia Nardelli arrivano nel capoluogo siciliano per studiare al Centro Sperimentale di Cinematografia, rispettivamente da Pontremoli, in Lunigiana, e da Trento, e prendono casa proprio a Danisinni: «Appena arrivati ricordo d’aver avuto la sensazione – racconta Virginia Nardelli – che fosse un po’ uno spazio privato, come il cortile di una casa, invece era la piazza d’un quartiere.
Sono stati proprio i bambini, guidandoci nel loro, di mondo, a permetterci un accesso al mondo “degli adulti”, prima avevamo la sensazione di essere un po’ dei forestieri.
Siamo diventati compagni di gioco dei piccoli, e questo ha fatto estendere la nostra relazione con Danisinni, facendoci conquistare uno spazio insieme ai bambini, uno spazio che non è solo quello geografico-urbano, ma anche quello dell’immaginazione, del passare il tempo insieme tutti i giorni, del condividere merende, e patatine fritte, e storie».
Mentre la città andava cambiando, Danisinni restava uguale, scorporata, capitava di vedere un turista che camminava nella sua piazza e la reazione istintiva era: «Questo dev’essersi perso, magari cercava le catacombe dei Cappuccini…».
Perché non c’era nulla in quello spazio, se non le case delle persone che ci abitavano. E un asilo. Che però era abbandonato.
Gli unici a metterci piede erano i bambini, che sfruttavano il suo spazio per immaginarsi un mondo, per – dicendola con le parole del cantautore palermitano Alessio Bondì – costruire una «capanna […] china r’i me’ vasati annigghiati, r’i me’ capiddi e ri me’ ragni, ch’i pittusi chi hannu a rispirari», un luogo in cui portare vecchi giocattoli e cianfrusaglie inutilizzate, in cui essere padroni della propria immaginazione, in cui inventare storie e vivere avventure misteriose o cariche di quell’inquietudine che può sfociare in meraviglia.
E da questo luogo è nata l’idea del film, Il castello indistruttibile.
«È la storia di tre ragazzini – racconta Stefano La Rosa, palermitano che fa ormai da dieci anni la spola con la Francia – che hanno undici anni, e sono Angelo, Mery e Rosy.
Abitano tutti e tre a Danisinni e decidono di costruire nell’asilo abbandonato al centro del quartiere un rifugio segreto, una "casetta".
Il documentario (che ha comunque degli innesti di finzione, ndR.) segue proprio la costruzione di questo spazio, che diventa un luogo in cui i ragazzi raccontano la propria vita ma lasciano anche tanto campo all’immaginazione».
Proprio attorno alla vecchia struttura scolastica, i registi hanno sentito di poter costruire «qualcosa» insieme ai ragazzini, «non ci interessava – continua La Rosa – filmare da esterni alla zona, ma provare a mettere in piedi insieme un racconto, e ciò è stato possibile grazie all’approccio “ludico” che abbiamo avuto fin dall’inizio con i protagonisti».
Danny Biancardi e Virginia Nardelli a Danisinni ci hanno vissuto un anno e mezzo, vestendo, anche se involontariamente, i panni dei forestieri: «Ci davano sempre un ruolo: prima eravamo “gente di fuori che viveva lì”, poi quando abbiamo iniziato ad andare in giro a filmare eravamo “quelli strani con la videocamera” che seguivano “i giochi strani dei bambini”.
Adesso siamo ancora quelli, siamo “quelli del film”, che s’interessano a queste cose molto piccole, ai giochi che i bambini fanno in strada, a cui gli adulti non badano».
Adesso, a distanza di quasi dieci anni dal loro arrivo, e con il film pronto e presentato già al Festival Internazionale del Documentario di Copenaghen (oltre che premiato con il Tutta un’Altra Storia Pratello Award al Biografilm Festival di Bologna), vedono un quartiere che inizia a cambiare.
«Quando siamo arrivati – ricorda la regista Virginia Nardelli – non c’era il circo, non c’erano i murales, non c’era nessuna attività per cui tu dovessi andarci, quindi appena entrava qualcuno di "straniero" ti reindirizzavano alle catacombe dei Cappuccini, il luogo d’interesse più vicino.
Era la cosa più normale, che un turista si perdesse e dovesse essere mandato nel posto che stava cercando per davvero».
Palermo intera, in realtà, era diversa: «Ricordo che in via Maqueda si circolava in auto, tipo dalle 7.00 alle 10.00 – a dice Danny Biancardi – e lo stesso era in corso Vittorio Emanuele.
Danisinni ha preso delle cose positive dalla “turistificazione” della città che c’è stata negli ultimi anni. Il quartiere si è aperto, adesso chi capita lì può essere che non si senta dire “Che ci fai qui?”, c’è un motivo per andarci». Tra questi, proprio l’asilo – che sino alla fine delle riprese del film era abbandonato – ristrutturato e consegnato alla comunità.
Non più terra di nessuno, non più campo di gioco per i bambini che scorrazzano e girano con bici e motorini, ma scuola a tutti gli effetti. «L’asilo è una struttura per gli abitanti del quartiere – racconta Danny Biancardi – che è rimasta chiusa per quindici anni.
Per quindici anni tutte le persone della zona che volevano portare i figli al nido dovevano andare da qualche altra parte, pur avendo una struttura che poteva funzionare».
Paradosso dei paradossi: adesso, però, non esiste più il luogo di fantasia, non esiste più la «capanna» in cui rifugiarsi. «Quando abbiamo girato, quello spazio era uno spazio di gioco libero dei "nostri" bambini, dei bambini che seguivamo per il film. Poi, quando l’hanno ristrutturato, lo spazio non esisteva più.
Mentre facevano una cosa buona, cioè ridare uno spazio alla comunità, un altro spazio era sparito. La domanda adesso è: quali sono gli spazi liberi, fondamentali, che possiamo dare ai bambini?».
«Il castello indistruttibile» prova a dare una risposta: «Abbiamo cercato con Angelo, Mery e Rosy – conclude Virginia Nardelli – uno spazio alternativo a quello reale, una dimensione in cui la loro “capanna”, e una parte di Danisinni stessa, per quanto tutto possa cambiare, riesca a sopravvivere per sempre».
Oggi, il volto di quella piazza, di quelle case quasi nascoste, è cambiato, si sta «aprendo di più alla città, ai turisti».
Parola di Danny Biancardi, Virginia Nardelli e Stefano La Rosa, i registi di «Il castello indistruttibile», il film – frutto di una co-produzione franco-italiana, prodotto da ZaLab e dalla francese Société du Sensible, e distribuito da ZaLab con il supporto del Ministero della Cultura e Siae nell’ambito del programma #PerChiCrea – interamente girato nel quartiere "dimenticato" di Palermo.
Sabato 20 settembre, alle 20.30, nel chiostro Sant’Anna della Galleria d’arte moderna di Palermo, il lungometraggio sarà proiettato all’interno del Sole Luna Doc Film Festival.
Tutto ha inizio nel 2016, quando Danny Biancardi e Virginia Nardelli arrivano nel capoluogo siciliano per studiare al Centro Sperimentale di Cinematografia, rispettivamente da Pontremoli, in Lunigiana, e da Trento, e prendono casa proprio a Danisinni: «Appena arrivati ricordo d’aver avuto la sensazione – racconta Virginia Nardelli – che fosse un po’ uno spazio privato, come il cortile di una casa, invece era la piazza d’un quartiere.
Sono stati proprio i bambini, guidandoci nel loro, di mondo, a permetterci un accesso al mondo “degli adulti”, prima avevamo la sensazione di essere un po’ dei forestieri.
Siamo diventati compagni di gioco dei piccoli, e questo ha fatto estendere la nostra relazione con Danisinni, facendoci conquistare uno spazio insieme ai bambini, uno spazio che non è solo quello geografico-urbano, ma anche quello dell’immaginazione, del passare il tempo insieme tutti i giorni, del condividere merende, e patatine fritte, e storie».
Mentre la città andava cambiando, Danisinni restava uguale, scorporata, capitava di vedere un turista che camminava nella sua piazza e la reazione istintiva era: «Questo dev’essersi perso, magari cercava le catacombe dei Cappuccini…».
Perché non c’era nulla in quello spazio, se non le case delle persone che ci abitavano. E un asilo. Che però era abbandonato.
Gli unici a metterci piede erano i bambini, che sfruttavano il suo spazio per immaginarsi un mondo, per – dicendola con le parole del cantautore palermitano Alessio Bondì – costruire una «capanna […] china r’i me’ vasati annigghiati, r’i me’ capiddi e ri me’ ragni, ch’i pittusi chi hannu a rispirari», un luogo in cui portare vecchi giocattoli e cianfrusaglie inutilizzate, in cui essere padroni della propria immaginazione, in cui inventare storie e vivere avventure misteriose o cariche di quell’inquietudine che può sfociare in meraviglia.
E da questo luogo è nata l’idea del film, Il castello indistruttibile.
«È la storia di tre ragazzini – racconta Stefano La Rosa, palermitano che fa ormai da dieci anni la spola con la Francia – che hanno undici anni, e sono Angelo, Mery e Rosy.
Abitano tutti e tre a Danisinni e decidono di costruire nell’asilo abbandonato al centro del quartiere un rifugio segreto, una "casetta".
Il documentario (che ha comunque degli innesti di finzione, ndR.) segue proprio la costruzione di questo spazio, che diventa un luogo in cui i ragazzi raccontano la propria vita ma lasciano anche tanto campo all’immaginazione».
Proprio attorno alla vecchia struttura scolastica, i registi hanno sentito di poter costruire «qualcosa» insieme ai ragazzini, «non ci interessava – continua La Rosa – filmare da esterni alla zona, ma provare a mettere in piedi insieme un racconto, e ciò è stato possibile grazie all’approccio “ludico” che abbiamo avuto fin dall’inizio con i protagonisti».
Danny Biancardi e Virginia Nardelli a Danisinni ci hanno vissuto un anno e mezzo, vestendo, anche se involontariamente, i panni dei forestieri: «Ci davano sempre un ruolo: prima eravamo “gente di fuori che viveva lì”, poi quando abbiamo iniziato ad andare in giro a filmare eravamo “quelli strani con la videocamera” che seguivano “i giochi strani dei bambini”.
Adesso siamo ancora quelli, siamo “quelli del film”, che s’interessano a queste cose molto piccole, ai giochi che i bambini fanno in strada, a cui gli adulti non badano».
Adesso, a distanza di quasi dieci anni dal loro arrivo, e con il film pronto e presentato già al Festival Internazionale del Documentario di Copenaghen (oltre che premiato con il Tutta un’Altra Storia Pratello Award al Biografilm Festival di Bologna), vedono un quartiere che inizia a cambiare.
«Quando siamo arrivati – ricorda la regista Virginia Nardelli – non c’era il circo, non c’erano i murales, non c’era nessuna attività per cui tu dovessi andarci, quindi appena entrava qualcuno di "straniero" ti reindirizzavano alle catacombe dei Cappuccini, il luogo d’interesse più vicino.
Era la cosa più normale, che un turista si perdesse e dovesse essere mandato nel posto che stava cercando per davvero».
Palermo intera, in realtà, era diversa: «Ricordo che in via Maqueda si circolava in auto, tipo dalle 7.00 alle 10.00 – a dice Danny Biancardi – e lo stesso era in corso Vittorio Emanuele.
Danisinni ha preso delle cose positive dalla “turistificazione” della città che c’è stata negli ultimi anni. Il quartiere si è aperto, adesso chi capita lì può essere che non si senta dire “Che ci fai qui?”, c’è un motivo per andarci». Tra questi, proprio l’asilo – che sino alla fine delle riprese del film era abbandonato – ristrutturato e consegnato alla comunità.
Non più terra di nessuno, non più campo di gioco per i bambini che scorrazzano e girano con bici e motorini, ma scuola a tutti gli effetti. «L’asilo è una struttura per gli abitanti del quartiere – racconta Danny Biancardi – che è rimasta chiusa per quindici anni.
Per quindici anni tutte le persone della zona che volevano portare i figli al nido dovevano andare da qualche altra parte, pur avendo una struttura che poteva funzionare».
Paradosso dei paradossi: adesso, però, non esiste più il luogo di fantasia, non esiste più la «capanna» in cui rifugiarsi. «Quando abbiamo girato, quello spazio era uno spazio di gioco libero dei "nostri" bambini, dei bambini che seguivamo per il film. Poi, quando l’hanno ristrutturato, lo spazio non esisteva più.
Mentre facevano una cosa buona, cioè ridare uno spazio alla comunità, un altro spazio era sparito. La domanda adesso è: quali sono gli spazi liberi, fondamentali, che possiamo dare ai bambini?».
«Il castello indistruttibile» prova a dare una risposta: «Abbiamo cercato con Angelo, Mery e Rosy – conclude Virginia Nardelli – uno spazio alternativo a quello reale, una dimensione in cui la loro “capanna”, e una parte di Danisinni stessa, per quanto tutto possa cambiare, riesca a sopravvivere per sempre».
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